Il futuro del design nei super yacht secondo Giorgio Maria Cassetta fra innovazioni e rischi
Intervista al noto designer che descrive le particolarità e le scelte del nuovo Class 44M appena costruito da Benetti ma per il futuro esprime preoccupazioni perchè talvolta la nautica rischia di autodistruggersi a causa di lusso e budget sfrenati al limite dell’insensato
In occasione del recente varo di Juno’s 7, il nuovo Class 44M costruito da Benetti, SUPER YACHT 24 ha incontrato Giorgio Maria Cassetta, il designer che ne ha realizzato esterni ed interni, per parlare del progetto, ma anche della sua visione dello yachting.
Cassetta, che tipo di innovazioni sono state apportate su questo primo Class 44M rispetto al precedente modello Diamond?
“Sul Class 44 le innovazioni possono essere definite fino a un certo punto un restyling, nel senso che questo modello condivide la piattaforma tecnica del Diamond ma è una continuazione e revisione del modello precedente, mentre a livello di presentazione del prodotto ai propri utenti è profondamente rinnovato rispetto al Diamond. Il rinnovo nasce da una volontà di Benetti e mia, di riservare all’armatore – data la fascia dimensionale di cui il modello è ammiraglia, la sua importanza e il suo costo – un oggetto esclusivo, di cui non esistano troppi esemplari uguali.”
Nello specifico quali interventi sono stati apportati sul Class 44M?
“La barca ha implementato due tipologie di interventi. La prima è di natura stilistica e riguarda soprattutto gli esterni, dove siamo intervenuti con degli interventi calibrati, ma abbastanza significativi per portare a un prodotto che si riconosce in un filone relativamente classico: quello di una grande nave capace di affrontare la navigazione, con una presenza scenica molto specifica. Abbiamo apportato piccoli ritocchi di caratterizzazione rendendo più contemporanea l’estetica. Ma in una chiave tale per cui questi interventi sono fortemente funzionali a un aumento della qualità della vita di bordo. Non c’è quindi nulla in termini di pura decorazione o pura modifica. Segnalo fra gli interventi un forte aumento della trasparenza verso l’esterno della nave, già dotata di molta luminosità in quanto molto vetrata, che adesso rende difficile far capire ai suoi ospiti dove finisce il vetro e dove comincia l’esterno.
L’altro fronte di interventi è sugli interni, che invece sono completamente rinnovati. Anche in questo caso la volontà di cambiamento è venuta da Benetti e da me. Abbiamo avuto la fortuna di avere degli armatori di questo primo modello innamorati della filosofia del progetto, che ci hanno dato campo libero nel gestire completamente la scelta di tutto. La differenza sostanziale degli interni non è solo nei colori e nelle forme, ma soprattutto nel fortissimo intervento sui materiali utilizzati che sono ad alto valore aggiunto, prodotti dell’ingegno dell’uomo e ricchi di know how di artigianalità e bellezza derivante da una grandissima tradizione.”
In tema di funzionalità degli interni quanto incide il colloquio con l’equipaggio?
“In questo caso la nave nasce come un prodotto di semiserie del cantiere, e quindi l’apporto è dato da un un feedback raccolto negli anni parlando con tanti equipaggi, con tanti utenti di bordo. Va detto però che rispetto ad alcuni equipaggi, siamo noi ad avere un maggiore sapere.”
Capiamo il riferimento alla questione degli equipaggi poco esperti e poco formati. Ma rispetto invece alle esigenze di un equipaggio valido, che avrebbe bisogno di ambienti più comodi per poter lavorare ancora meglio?
“Questa barca è un ottimo esempio dell’attenzione posta verso l’equipaggio, perché è molto focalizzata sulla qualità della vita a bordo, pensata per armatori con una lunga esperienza di navigazione con yacht a motore che in essa trovano una particolare attenzione a percorsi, spazi di lavoro per l’equipaggio, storage, fattori di contemporaneità di utilizzo di determinati spazi in modo da non disturbarsi a vicenda. Il nostro focus è quindi sugli spazi di lavoro a bordo, che portano al miglioramento della qualità della vita degli equipaggi.”
Cosa chiedono sostanzialmente gli equipaggi?
“Quello che realmente spesso viene chiesto ha un limite che risiede non tanto nella nostra volontà di progettare, quanto nelle normative esistenti. Vengono spesso richiesti, ad esempio, letti molto larghi e molto bassi, ma poi questo desiderio si scontra con le normative che impongono un certo spazio calpestabile e un certo spazio all’altezza delle spalle che erodono di conseguenza lo spazio disponibile. Si guarda tantissimo, e giustamente, alla sicurezza di bordo, ma relativamente poco alla parte ergonomica. E’ pur vero che cercare di normare l’ergonomia su oggetti così eterogenei come le barche crea il rischio di uniformare i prodotti. Penso, in questo senso, a quello che è successo all’automotive: quando sono entrate in campo le normative di sicurezza relativamente ai pedoni e a un certo tipo di crash test – dal 2010 al 2020, si è poi visto che le auto cominciavano ad assomigliarsi tutte. Sono stati necessari molti anni prima che l’industria riuscisse a ideare qualcosa di particolare. Ho la forte convinzione che gli oggetti che navigano hanno delle componenti funzionali, penso all’ormeggio, che non possono essere più di tanto mediate dall’estetica, possono essere belle ma col limite di non scontrarsi con la funzionalità. Abbiamo avuto recentemente la possibilità di lavorare su un paio di navi a quattro mani con il capitano e con l’equipaggio per consentire che le manovre di ormeggio avvenissero come l’equipaggio richiedeva. La stessa cosa vale quando si riesce a interfacciarsi con uno chef di bordo di lunga esperienza. Questa utilissima collaborazione con gli utenti non è però esente da rischi: il maggiore è che si innesti una dinamica del tipo ‘se poi non mi ascolti mi offendo’. C’è quindi una componente politica da non sottovalutare.”
L’aspetto della sicurezza in una nave può convivere con quello dell’arredo, della bellezza, del lusso? Le dotazioni di sicurezza possono essere sufficientemente visibili e raggiungibili?
“Nel novero delle funzionalità di una nave la sicurezza è il punto di partenza del progetto. Non si parte da un bel profilo estetico quando si decide di progettare una barca. Forse qualcuno lo fa, ma non noi. Partiamo da cosa deve fare, e quali servizi deve portare al proprio utente. Nella lista delle priorità delle funzionalità la sicurezza è sempre intoccabile. Questa attenzione è tracciabile nella nostra storia osservando i nostri prodotti. Un esempio pratico, sul quale lottiamo da anni e che finalmente ora riusciamo a realizzare su quasi tutte le nostre barche, è quello che il nostro upper deck debba essere sempre work around, il che significa che se la barca sta affondando e si devono raggiungere delle zattere di salvataggio che stanno dalla parte opposta della nave, non si è costretti a passare all’interno degli ambienti chiusi con il rischio che si blocchino alcune porte.
Il compito di un progettista, ma anche di un cantiere, è di riuscire a dare una coerenza a degli oggetti che hanno comunque una valenza tecnica, quindi non vedo necessariamente un male nel rendere più visibili le dotazioni. Mi faccia però dire che spesso quando accadono incidenti in mare il problema non è la nave, ma le persone che la usano male, siano essi gli utenti o gli equipaggi.”
Sempre su questo tema: la tendenza a posizionare cabine prestigiose per ospiti sui ponti alti accanto alla plancia di comando invece di dedicare quello spazio alla cabina del capitano, non rappresenta un controsenso dal lato sicurezza?
“Su una nave pensata per fare lunghe navigazioni notturne non progetterei mai ambienti così disposti e lo sconsiglierei caldamente agli altri progettisti. Su una nave pensata per fare spostamenti rapidi di giorno, che permette quindi al capitano di dormire di notte, il discorso è diverso, posto comunque che in timoneria deve sempre esserci qualcuno di guardia.
C’è sempre alla base un concetto di relatività: su una barca di 30 metri su 3 ponti che fa navigazione diurna il comandante che dorme due piani sotto rispetto alla plancia, se svegliato in tempo da chi è di guardia in timoneria – normalmente il primo ufficiale, che è in grado di pilotare la nave – può permettersi di perdere 10 secondi di tempo per salire le scale. Il punto cruciale, torno a dire, è l’equipaggio. L’argomento è comunque etico e difficile da trattare da un punto di vista professionale. Il design deve essere realizzato con la massima attenzione possibile all’interno di ragionevoli limiti di fattibilità e anche di commerciabilità del prodotto. Nel caso il mio prodotto diventi completamente anti competitivo: starei realizzando un servizio migliore perché il prodotto sarebbe più sicuro oppure realizzerei un servizio peggiore perché invece di venderne 20 esemplari ne venderò molti meno e non genererò quei 400 milioni di euro di fatturato, con la conseguenza di mandare a casa 2.000 famiglie? La questione è appunto etica e dovrebbe essere sviluppata come dibattito, essendo assolutamente interessante.”
Quali sono le ultime innovazioni sulle quali state studiando?
“A mio parere la nautica rischia di autodistruggersi a causa di un senso di lusso e budget sfrenati che a un certo punto portano un prodotto, già di per sé poco razionale, al limite dell’insensato. Da parte mia spingo affinché si facciano dei passi indietro per ritrovare materiali più normali, per togliere il teak dai ponti e inserire soluzioni alternative, che riportino l’artigianalità dell’uomo al centro del valore e che supportino chi ha saputo preservare un know-how, non chi sfrutta delle risorse che non ha generato. In questo senso vanno i tentativi di innovazione che portiamo avanti come studio e la risposta che stiamo avendo per ora sia dai clienti business, a partire da Benetti con il progetto B.Loft, sia dai vari clienti privati, è molto positiva. Anche nell’alimentazione delle navi si potrebbe fare tanta innovazione dal lato efficienza: già dieci anni fa per Benetti abbiamo sviluppato Spectre, una barca da 70 metri che raggiungeva i 21 nodi con 7.000 cavalli. Nonostante i suoi 70 metri, le 1.450 tonnellate di stazza e i 21 nodi, era una barca che a 12 nodi consumava 250 litri all’ora, cioè il 30% in meno di qualsiasi altro yacht della stessa dimensione. Il suo segreto? Era ben pensata. Stiamo da sempre lavorando in questa direzione, ma non ne facciamo una bandiera perché riteniamo che sia un nostro bisogno etico prima ancora di un qualcosa su cui fare marketing.”
Infine può anticiparci quella che ritiene sia l’ultima tendenza nella costruzione dei superyacht? Dopo la beach area sempre più a contatto con il mare cosa chiederà l’armatore?
“Meno ridondanza, spazi pensati meglio, più legati all’architettura civile, meno spazio nelle cabine per privilegiare spazi giorno più grandi o funzioni a bordo come palestre e aree benessere che fino a qualche anno fa erano quasi esotiche e oggi troviamo su qualsiasi barca superiore a 500 tonnellate e spesso su quelle di tonnellaggio inferiore. Da oggetti che potevano essere concepiti dall’armatore come show off si sta andando invece verso posti dove si vuole vivere, dove si vuole trascorrere con un’alta qualità di vita il proprio tempo libero utilizzando tutte le funzioni che si usano nel quotidiano. Questa è la sfida che stiamo attualmente raccogliendo.”
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