Valerio Fanciulli si racconta: “Non si può fare il comandante solo per ragioni economiche”
Fra i tanti episodi da raccontare anche quello molto particolare vissuto per assecondare la richiesta di una principessa araba a bordo
Valerio Fanciulli, comandante di superyacht, nasce cinquanta anni fa in un paese di naviganti circondato quasi completamente dal mare quale è Porto Santo Stefano, in Toscana, e qui si diploma all’Istituto Tecnico Nautico, costola dello storico e prestigioso I.T.N. livornese Alfredo Cappellini. Si imbarca su navi mercantili, ma una volta ottenuta la licenza di capitano – affascinato dal mondo dello yachting – non appena può prova questa esperienza. Erano i primi anni ’80, gli anni dello sviluppo e delle innovazioni nello yacthing con barche che ogni giorno diventavano sempre più grandi.
Come è stato l’impatto con questo ambiente?
“E’ stato ed è tuttora bellissimo, anche se presenta i suoi pro e i suoi contro. Lavorare come comandante di yacht da diporto significa dover mettere in conto lo stare lontano per mesi dalla famiglia e quindi la nostalgia. Ma se questo lavoro si fa con il cuore e tanta passione si riesce a superare tutto; sottolineo tanta, perché non sempre è un lavoro facile. Ogni armatore, o ogni cliente nel caso del charter, deve essere seguito al meglio in qualunque condizione ci si trovi, anche nelle giornate più ‘brutte’, perché siamo noi che dobbiamo garantire che quella sua vacanza, così breve, risulti perfetta in ogni singolo momento trascorso. Per esperienza posso affermare che in questo riesce solo chi lavora con vera passione e non per ragioni economiche.”
Lei ha avuto una grande esperienza nel charter: le è capitato di vivere qualche episodio da raccontare?
“Nel charter ho lavorato per 14 anni su un superyacht di 36 metri conoscendo clienti di ogni nazionalità europea ed extraeuropea, anche famosi, fra cui alcune star internazionali. Fra queste Beyonce, che aveva scelto la nostra barca Ab Yacht 116 Musa solo perché era verniciata in oro metallizzato: il suo colore preferito. Fra i diversi episodi ricordo quello con protagonista una principessa araba che, una volta giunti in Sardegna ad agosto, a Cala di Volpe, ormeggiati in mezzo a barche di 100 e più metri, vide su uno di questi megayacht uno scivolo per i tuffi e – pur essendo stata scoraggiata da noi in ogni modo – pretese che andassimo a chiedere agli armatori se poteva divertirsi su quello scivolo, a costo di pagare qualsiasi cifra. Dovemmo quindi fare questa richiesta e ricevere un rifiuto che già ritenevamo scontato, e soprattutto dovemmo trovare il modo giusto per riferirlo alla principessa. Mi è stato anche raccontato di armatori che, al momento della partenza, per mancanza di sintonia con il comandante dell’equipaggio, invece di trascorrere le loro ambite vacanze su quel loro yacht tanto desiderato e finalmente pronto, hanno poi deciso di noleggiarne un altro e trascorrere su quest’ultimo le loro vacanze. Queste sono cose che, seppur incredibili, possono accadere; quindi oltre all’indispensabile passione da parte di tutti credo sia fondamentale il feeling tra l’armatore e il comandante dell’equipaggio.”
Con chi è impegnato attualmente come comandante di equipaggio?
“Dopo questa esperienza che si è conclusa per il ritiro dell’armatore per ragioni di età, sono in fase di surveyor in una nuova esperienza con degli armatori stranieri che, iniziando da un Bluegame di circa 24 metri, hanno intenzione di crescere come livello di dimensioni della barca. Per me questo nuovo rapporto rappresenta una nuova esperienza in termini di tecnologie di propulsione: potrò misurarmi per la prima volta con l’Ips, un motore di grandissima manovrabilità anche in situazioni meteorologiche particolari, e aumentare le mie competenze che sono molto significative sui sistemi a idrogetto oltre che sui sistemi tradizionali.”
Una questione piuttosto dibattuta nel settore è quella delle figure dei manager che da qualche tempo si interpongono fra il comandante e l’armatore. Cosa ne pensa a livello di risultati per l’armatore?
“Penso che con i manager la gestione dello yacht sia più difficile. Ma semplicemente perché, quando il comandante ha la possibilità di avere a bordo l’armatore riesce ad entrare in confidenza con lui e a capire quali sono i suoi veri desideri. Diversamente, con il manager, non riusciamo ad ottenere quello che realmente ci occorre perché non sempre si riesce a trovare con loro la giusta sintonia, e così il rapporto si complica. In tutta la mia carriera sono sempre riuscito ad avere un ottimo contatto diretto con l’armatore mentre ho potuto verificare la difficoltà di far capire determinate esigenze, necessarie per far trascorrere al meglio il periodo di vacanza all’armatore, ad alcuni manager; questo perché per capire cosa desidera davvero l’armatore bisogna conoscerlo ed essere con lui. Anche le esigenze che manifestiamo per la fondamentale manutenzione invernale delle apparecchiature meccaniche ed elettroniche della nave, a volte vengono sottovalutate o non comprese. Recentemente ho convintamente rinunciato, proprio per queste ragioni, ad un rapporto importante di lavoro che prevedeva l’intermediazione del manager fra me e l’armatore.”
Il vostro ruolo di esperti è apprezzato dai cantieri di costruzione?
“Non molto direi. Quando si costruiscono le barche nuove i comandanti vogliono seguire la costruzione per poi affrontare la stagione nel migliore dei modi, ma i dirigenti dei cantieri non ne sono molto contenti perché le eventuali richieste di modifiche – che nascono dalla nostra conoscenza ed esperienza sul campo – rallentano la fase di consegna. Viceversa ritengo che intervenire sulla barca nella fase della realizzazione permetterebbe di non avere problemi al momento dell’uscita in mare con il conseguente vantaggio, sotto tutti i profili, del cantiere.”
Sembrerebbe opportuno che i cantieri di progettazione e costruzione di yacht di serie avessero un ex-comandante stabilmente nel loro staff..
“Alcuni cantieri hanno come consulenti stabili degli ex-comandanti, ciò nonostante non seguono tutto le loro indicazioni e suggerimenti. Nella fase di progettazione c’è sempre un disegno tecnico di base approvato che ad ogni eventuale modifica subisce dei passaggi burocratici piuttosto lunghi, che per il cantiere rappresentano perdite di tempo. Si preferisce quindi un consulente esperto, come noi, solo nella fase di consegna, affinché grazie ad esso vengano individuate le problematiche e accelerata la consegna dello yacht. I comandanti – va anche sottolineato – restano esperti solo fino a che esercitano il loro ruolo perché aggiornati su tutte le tecnologie. E da qui la difficoltà di trovare figure di comandanti stabili nei cantieri. Diverso è per i cantieri che costruiscono yacht custom: prendo ad esempio la mia esperienza con l’Ab Yacht 116, primo esemplare costruito dal cantiere per la serie e primo Ab Yacht per l’armatore. Lo stesso armatore aveva voluto che il suo equipaggio seguisse tutte le fasi di progettazione e costruzione con la clausola stringente per il cantiere che venissero tenute in considerazione le sue richieste, idem riguardo all’architetto per gli interni. Il risultato è stato che una volta pronta l’imbarcazione siamo partiti per la stagione senza il periodo consueto di supporto del cantiere perché ormai la conoscevamo in tutti i suoi dettagli.”
Quanto è durata questa fase di progettazione e costruzione che vi ha visto partecipare?
“Circa sette mesi, quindi un periodo breve. La nostra partecipazione ha contribuito a velocizzare le fasi e ad evitare veri problemi. Quando è stata venduta, dopo circa 14 anni, i periti hanno definita l’imbarcazione perfetta, funzionante al 100%. Ed anche questo è merito della passione che mettiamo nel lavoro.”
Lei ha avuto come equipaggio per molto tempo un team composto dalle stesse persone: quale metodo ha adottato per farlo rimanere unito ed efficiente?
“Come comandanti dobbiamo essere psicologi per capire il carattere, la personalità e le attitudini di ogni componente per relazionarci con ognuno nel modo più efficace e per questo seguiamo dei corsi di leadership. Personalmente ritengo fondamentale che ci sia rispetto, tra tutti, e che si stabilisca insieme la regola che ogni incomprensione debba iniziare e finire nello stesso momento in base al concetto che nel nostro lavoro – dove si è a contatto l’uno con l’altro in uno spazio ristretto per 24 ore al giorno – si debba essere colleghi, compagni e amici, capire la situazione e superare il problema.”
Per gestire queste difficoltà potrebbero essere utili corsi di psicologia anche ai componenti dell’equipaggio?
“Credo che sarebbero molto utili per aiutarli a capire quali comportamenti adottare quando si deve condividere per lungo tempo un obiettivo e uno spazio. Sarebbe importante sia per i rapporti interpersonali dell’equipaggio stesso, che per avere il giusto approccio con l’armatore e gli ospiti. Ad oggi per l’equipaggio ci sono solo corsi mirati alla sicurezza e tecnici, non improntati alla psicologia.”
Come vede il fermento nella ricerca della motorizzazione sostenibile ideale per la nautica da diporto?
“E’ una questione che approvo e che è in continua evoluzione. L’attenzione all’ambiente da parte dei cantieri è molto sentita anche se occorrono ancora studi e perfezionamenti per le diverse tecnologie che sono allo studio, come l’elettrico e l’idrogeno.”
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