Rosario Fortuna: “Da comandante a formatore. Attenti alla ricattabilità”
Intervista a tutto campo con l’esperto comandante toscano che analizza opportunità criticità e prospettive della professione
Livorno – Rosario Fortuna è un comandante con una vasta esperienza alle spalle segnata, in ogni passaggio, da ‘sete’ di conoscenza e di approfondimento. La sua formazione inizia con il servizio nella Marina Militare, intraprende in seguito l’attività di costruzione e allestimento di barche, poi quella di charter, poi di ristorazionen per giungere, quasi per caso, a quella di comandante di yacht. Il suo racconto personale e le sue opinioni di professionista nell’intervista che ha rilasciato a SUPER YACHT 24 hanno fornito uno spaccato reale, senza filtri, su tanti temi, tra cui quello importantissimo degli equipaggi, insieme a spunti e proposte.
Comandante Fortuna, con la recente equiparazione dei vostri certificati a quelli dei comandanti inglesi si aprono prospettive ulteriori per le vostre carriere: quali opportunità e criticità vede?
“Il certificato ci darà la possibilità di comandare barche oltre le 3.000 tonnellate ma bisogna avere l’esperienza maturata e non dobbiamo rischiare, soprattutto noi comandanti di Italian Yacht Masters. Abbiamo comandanti di livello importante, che hanno pilotato 70-80 metri (come Capitani di Lungo Corso); io stesso ho un titolo da diporto e un titolo illimitato ufficiale commerciale 3.000 tonnellate. Ma in generale è importante che chiunque approcci a oltre 3.000 tonnellate debba avere la giusta esperienza alle spalle.”
Mettiamo il caso di comandanti che hanno pilotato navi passeggeri. Comandare uno yacht di 100 metri può essere la stessa cosa?
“Lo yacht di 100 metri può sembrare simile, ma non lo è: sullo yacht il comandante deve essere anche manager mentre nel trasporto passeggeri le responsabilità in quel senso sono più suddivise. In sostanza ritengo che si debba avere comunque un background di comando in grandi yacht, partendo dai 50 arrivando nel tempo ai 70-80 metri. Navi quindi che normalmente girano il mondo, fanno doppie stagioni e hanno equipaggi di 40 persone. A quel punto credo si possa andare gradualmente verso le 3.000 tonnellate. Detto questo le basi sono giuste e stiamo crescendo.”
Cosa occorre ancora al comandante italiano per diventare un’eccellenza?
“Il mercato dello yachting è stato conquistato dall’Italia prima con i cantieri costruttori e ora questo mercato deve essere nostro anche per il comando. Dobbiamo impegnarci nel crescere le future leve con corsi e ambienti idonei per imparare. Chi come me ha esperienza deve passare il testimone e mettersi a fianco delle giovani leve per farle crescere. Costruiamo già le più belle e grandi navi del mondo e ora dobbiamo formare e ‘costruire’ il professionista che avrà il loro comando, inziando dal formare la persona.”
Più nello specifico: quali sono i gap attuali dei comandanti italiani che si rapportano a questo mercato in evoluzione?
“Il comandante italiano ha perso troppo tempo nell’adeguarsi a standard necessari come quello della conoscenza lingua inglese, utilizzata in tutto il mondo e per questo imprescindibile. Il problema è culturale, nasce dalle famiglie, ma non c’è alcun supporto valido dall’istruzione statale. E purtroppo devo tornare a dire che c’è bisogno anche di formazione a tutto tondo, cioè nelle regole della vita e poi delle regole in mare. Prima di formare un ufficiale, che sia di macchine o di coperta, deve essere formato l’uomo.”
Dov’è stato e dov’è il punto debole?
“I comandanti italiani della mia generazione conoscono quattro o cinque ligue, abbiamo dovuto impararle per forza se volevamo lavorare in Costa Azzurra, e poi per seguire il mercato la Costa Brava con lo spagnolo. Poi con le barche più grosse è arrivata la doppia stagione ed è arrivato l’inglese e lì abbiamo perso tempo nel non capire che conoscerlo era indispensabile.”
Questo problema della formazione lo riscontra in particolare in quella del marittimo o anche in altre categorie?
“Con l’entrata in Europa tutto è cambiato, per tutti. Dobbiamo raggiungere degli standard. Io stesso, partendo dal commerciale, per lavorare nel diporto ho fatto corsi e preso i titoli. Bisogna studiare e formare. E creare centri di formazione con docenti consapevoli, e dare ai ragazzi anche la pratica – che è fondamentale – e qui occorrono gli affiancamenti a persone di reale valore. Che seguano uno per uno i membri dell’equipaggio per dar loro fiducia fino a ricevere la loro fiducia. E non è così scontato che questo accada.”
Più nello specifico cosa intende?
“Nello yachting girano molti soldi e purtroppo in alcune zone come Antibes, Montecarlo, Ibiza si possono vedere scene incredibili di equipaggi che la sera si trasformano. In questo senso sono categorico con il mio equipaggio: chi entra a farne parte non fuma. Se devo subentrare al comando di un equipaggio non selezionato da me e trovo situazioni di alcolisti o altro, spesso rinuncio al comando. Il comandante deve essere al di sopra di ogni sospetto, mai ricattabile, quindi non può bere né fare altro che non sia consono al suo ruolo di comando. Altrimenti sarà subito ricattato e preda del suo equipaggio malato.”
Questo aspetto della ricattabilità, apparentemente sconosciuto ai più, è davvero molto frequente?
“La ricattabilità non si ferma al comandante ma può estendersi all’armatore. Alcuni di questi non possono licenziare i comandanti, ma neanche i marinai, perché a conoscenza di cose e fatti che potrebbero far saltare famiglie e carriere. In questo senso è il mestiere più precario del mondo.”
Come può sbagliare così tanto l’armatore nella selezione di chi timona il suo yacht? In fin dei conti mette a rischio in primis la sua salute, ma anche i suoi capitali…
“Il primo investimento che fa l’armatore in una sorta di catena di valore non è quello sulla barca ma proprio quello sul comandante che sceglie. Sembrerà buffo ma spesso gli armatori si affidano alle mogli per questo difficile compito perché le donne hanno maggiore attenzione al dettaglio e sensibilità e intercettano il ‘qualcosa che non torna’ molto più degli uomini. Da un certo momento in poi, per gestire il lavoro nel modo migliore, ho sempre preteso – non chiesto – dall’armatore il rapporto diretto (escludendo quindi management, broker e chiunque altro) per evitare le distorsioni delle informazioni dovute ai vari passaggi. Ma nella maggioranza dei casi i comandanti vengono scelti dalle agenzie di yacht management.”
Come è riuscito a non entrare in questo meccanismo nel suo lavoro di comandante?
“Per la mia precedente attività imprenditoriale che mi ha visto costruttore di barche fino a 25 metri, e anche armatore, poi gestore della mia agenzia di charter, poi gestore di attività di ristorazione. Tutto questo mi ha dato grandissima conoscenza ed esperienza. Poi è successo che un mio cliente charter voleva fermamente fare un mese di ferie con me al comando e con nessun altro. A quel punto ho lasciato le mie attività per un mese e sono partito con lui sulla mia barca. Oltre ad aver percepito novanta milioni di lire per l’affitto della mia barca e dieci milioni di mance al momento della fine del viaggio il cliente mi disse di aver passato il più bel mese della sua vita, facendomi così il più bel regalo che potessi ricevere da una persona: purtroppo quest’uomo era al termine della sua vita a causa di una malattia. Quest’esperienza incredibile mi fece inoltre capire quanto fosse bello trascorrere il tempo in mare invece che in ufficio o in cantiere. In quegli anni in cui l’Italia entrava in Europa nacquero le possibilità per chi aveva una formazione e un’esperienza come la mia di fare corsi e acquisire titoli per diventare comandante a tutti gli effetti, e così è stato: ho lasciato le mie aziende per svolgere esclusivamente questa professione. Ma avevo già quel forte background”.
Quale pensa sarà il suo futuro? E intanto oggi cosa sta facendo?
“In questi giorni ho firmato un contratto con la Ferretti Security Division, per seguire i collaudi per la consegna di un mezzo militare da sbarco negli Emirati Arabi, motorizzato con trasmissione water jet, in cui sono specializzato. Nella mia carriera ho consegnato mezzi militari, in Giappone per la Benetti, in Tunisia per la Vittoria, ho fatto 12 corsi preparativi per i comandanti e per gli equipaggi; sono stato comandante di armamento consegnando per Riva circa 250 barche. Con un’esperienza così vasta posso fare solo il freelance in questa attività, perché se mi fermassi in un cantiere gli costerei davvero troppo. Sono incarichi di prestigio che prendo quando mi concedo delle pause dal comando.”
Proprio per questa esperienza che ha con sé anche dal lato tecnico quale ritiene sarà la soluzione per rendere sostenibile lo yachting?
“Più che parlare di combustibili nello yachting parlerei di sprechi. Mandando a bordo persone non preparate si raggiungono sprechi enormi. Nella mia esperienza, entrando come sostituzione al comando di un 50 metri sono riuscito a dimezzare le spese di utenze e di molto altro – non risparmiando – ma solo ponendo attenzione alle azioni e alle scelte e sensibilizzando la crew. E con i minori sprechi si va incontro alla sostenibilità.”
Tutto questo accade anche perché non c’è tuttora una buona formazione degli equipaggi?
“C’è un mondo di diversità nello yachting, e nel campo della formazione è la stessa cosa. Purtroppo può succedere di incontrare crew con corsi di formazione fatti in due giorni e acquistati chissà dove. Il 90% dei disastri avviene per mancanza di una comunicazione efficace nella crew.”
E ora la formazione con il centro livornese Gente di Mare…
“Il futuro è la formazione. Finalmente a Livorno qualcuno si è accorto di quella che era una grave mancanza in una città di mare e ha provveduto a creare questo centro formativo che ha qualcosa di diverso e molto importante: qui ci sono corsi in lingua inglese Mca e iniziative serie per fare pratica in modo corretto. Qui mi sono formato come insegnante. E spero che questo sia il mio futuro e quello di tutti i comandanti: poter formare in un modo sempre più corretto e idoneo.”
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