Donato Albicocco: “Buon comandante ed equipaggio competente l’investimento più importante per un armatore”
Intervista al giovane comandante ligure che fra le varie criticità del mestiere segnala anche porti turistici italiani ormai datati e non adeguati che richiederebbero investimenti indispensabili
Il comandante Donato Albicocco, originario di Lavagna (Genova), si diploma all’Istituto Nautico di Camogli, dove coltiva la sua innata passione per il mare, accumulando nelle pause estive esperienze a bordo di imbarcazioni da diporto. Dopo il diploma e un periodo di imbarchi su traghetti, decide di tornare al diporto accettando un incarico da un armatore di Lavagna su una navetta di 27 metri. Con determinazione, prosegue la sua gavetta su barche di dimensioni sempre maggiori, fino a raggiungere i 50 metri, acquisendo i titoli professionali italiani e ottenendo nel 2010 il suo primo comando.
Comandante Albicocco, quanto è difficile per un ragazzo italiano intraprendere una carriera come la sua?
“Il nostro lavoro è bellissimo e gratificante, ma comporta anche un certo sacrificio, come la necessità di dover stare lontano da casa durante i fine settimana e le festività, a volte per periodi abbastanza lunghi; sacrifici questi che, in particolare, sono difficili da accettare per i giovani di oggi.
Per quanto riguarda le difficoltà direi che non ve ne sono nel trovare imbarchi, ma eventualmente nel conseguire i titoli professionali italiani, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto burocratico. E’ vero che ai miei tempi le difficoltà erano amplificate dai cambiamenti in atto in quel periodo per separare le carriere tra mercantile e diporto, ma queste problematiche permangono nonostante l’introduzione di nuove norme. Purtroppo, in Italia, la burocrazia complica i percorsi rispetto a quanto avviene all’estero.”
Quali difficoltà crea la burocrazia nel vostro lavoro di comandanti?
“Siamo indietro sul fronte tecnologico. Dovremmo poter interagire in modo semplice con le capitanerie, l’organo istituzionale di riferimento della nostra categoria, invece siamo costretti a presentarci ancora con il libretto e i documenti cartacei. Dovremmo seguire l’esempio dei paesi esteri digitalmente avanzati, dove queste operazioni avvengono con maggiore semplicità e rapidità. Va però considerato che sono le capitanerie stesse a incontrare difficoltà nel recepire le direttive ministeriali. Da quando è stato chiuso il Ministero della Marina Mercantile i problemi si sono aggravati causando una perdita significativa di tempo e risorse a noi marittimi. Per affrontare efficacemente questo impasse sarebbe opportuno istituire un tavolo tecnico partecipato da istituzioni del settore e associazioni di comandanti.”
Lei è consigliere dell’A.Ma.Di, associazione marittimi del diporto: riuscite a fare squadra con le altre associazioni del settore per avere un maggior peso?
“In effetti ho sempre sostenuto che noi marittimi dovremmo essere uniti e noto con piacere che attualmente sta emergendo un fenomeno interessante: si è instaurato un dialogo costante tra le associazioni, e sebbene ciascuna abbia i propri specifici obiettivi, il loro impegno collettivo contribuisce al bene comune. Spero che i rapporti tra noi si intensifichino nell’ottica di una collaborazione con gli enti per raggiungere quelli che considero i due obiettivi principali: la semplificazione nel percorso professionale e la valorizzazione del marittimo italiano. A quest’ultimo aspetto tengo particolarmente, perché desidero vedere un maggior numero di comandanti e di equipaggi italiani sui tanti yacht che il nostro Paese produce ”.
Come si può efficacemente combattere questa concorrenza dei comandanti stranieri?
“Se il percorso formativo italiano fosse più snello, i nostri giovani potrebbero cogliere più facilmente le opportunità lavorative, evitando di dover ricorrere ai titoli esteri per accelerare il loro ingresso nel settore. Personalmente, sono un fermo sostenitore del titolo italiano, poiché credo che la nostra preparazione sia di alto livello, pur presentando quell’unico difetto di un percorso troppo complesso che può demotivare. Con il nuovo decreto, sembra che si stia finalmente andando incontro ai giovani; vedremo come si svilupperà la situazione.”
Lei ha lavorato per cinque anni con un armatore italiano e da dieci anni lavora con un armatore tedesco, quali differenze significative ha trovato nelle due esperienze?
“Senza nulla togliere al mio primo armatore, è noto che i tedeschi sono persone molto precise. Forse proprio per la mia stessa attitudine, ho trovato un’ottima sintonia con il mio attuale armatore, il che ha semplificato notevolmente il lavoro. Ci siamo incontrati tramite un cantiere che mi aveva proposto di effettuare il trasferimento della sua nuova barca, un Azimut 80 di 24 metri, da Fano a Lavagna, e dalla nostra conoscenza è nata un’intesa che ha portato a una proposta di collaborazione. Il mio armatore è un esperto del settore nautico, e tra noi si è instaurato un rapporto di fiducia e comunicazione diretta. Si diverte con la sua barca e insieme stiamo crescendo in questa avventura, mentre stiamo costruendo una nuova imbarcazione, un Ferretti 860 di 27 metri. Il nostro equipaggio è composto da due membri fissi e da un terzo che ci supporta in alcune situazioni.”
Che tipo di rapporto si instaura su una barca di 24 metri?
“L’armatore di una barca come questa, che per le sue dimensioni ha un equipaggio ridotto, ha sicuramente abitudini diverse rispetto a quelle di chi gestisce grandi yacht. Deve considerare che ogni membro dell’equipaggio ha molteplici incarichi e necessità di riposo che non possono essere trascurate. È possibile fare tutto, ma affinché sia fatto bene è fondamentale che l’armatore sia flessibile. Quando c’è questo spirito di collaborazione si crea naturalmente un ambiente amichevole, quasi familiare: ed è esattamente ciò che è accaduto tra noi, l’armatore e la sua famiglia. Non smetterò mai di ribadire che l’investimento più importante che un armatore può fare, oltre a quello sulla barca, è quello in un buon comandante e in un equipaggio competente, che si prenderà cura dell’imbarcazione in tutte le sue fasi di vita: dalla costruzione, alla manutenzione, alla crociera, fino alla vendita.”
Come comandante, nella sua carriera, è riuscito a contribuire fattivamente con il cantiere nella fase di costruzione di un nuovo yacht?
“Quando ho seguito la costruzione di un yacht custom di 50 metri, ho sicuramente ricevuto maggiore attenzione da parte del cantiere. Nelle costruzioni ‘di serie’ per yacht più piccoli, le difficoltà aumentano, perché il cantiere tende a seguire linee e standard predefiniti. L’armatore però spesso desidera apportare modifiche, e qui entra in gioco il ruolo del comandante, che deve trovare un equilibrio. Credo che, adottando un atteggiamento propositivo e focalizzandomi sulla ricerca di soluzioni anziché sui problemi, si possa generalmente ottenere ciò che è necessario.”
Quando sarà pronto il nuovo 27 metri e quali programmi avete?
“Il nuovo yacht sarà pronto a maggio prossimo. Grazie alla determinazione dell’armatore, abbiamo già pianificato tutte le tappe dei nostri viaggi: partiremo da Venezia e navigheremo verso la Croazia, facendo diverse soste lungo il percorso. Successivamente, esploreremo tutta la costa italiana, per arrivare a Lavagna, dove abbiamo la nostra base, intorno a fine agosto-inizio settembre. Di solito, elaboro il programma tenendo conto delle mie conoscenze e dei gusti dell’armatore, cercando di limitare le ore di navigazione. L’armatore, a sua volta, può proporre alcune opzioni, condividendole con me, grazie al nostro rapporto di fiducia.”
Quali criticità trova nello svolgere il suo lavoro di comandante?
“Le principali criticità che riscontro sono la difficoltà di reperire un equipaggio adeguato e la necessità di una sua formazione efficace. Ritengo che la formazione, fulcro di entrambi i problemi, debba essere gestita con maggiore impegno e strategia da parte di noi comandanti e che debba rivolgersi non solo a chi ha già esperienza, ma anche alle nuove leve. Dobbiamo dedicare tempo e risorse allo sviluppo delle loro competenze creando opportunità di apprendimento pratico e teorico, per motivarle e farle appassionare a questa professione, affinché non ne percepiscano solo le difficoltà e i sacrifici, ma anche le soddisfazioni e opportunità che offre. Un altro tema riguarda i porti turistici italiani. Parlo per il mio segmento di barca: normalmente – per questioni di budget – chi comanda yacht di 24 metri non si rivolge alle agenzie per prenotare l’ormeggio, ma quando cerca un posto ha difficoltà a ottenerlo, soprattutto nei mesi di maggiore affluenza. Ma non solo: spesso i servizi di base a terra non funzionano, e ci troviamo a non poter scaricare le acque nere o a non poter ricevere la corrente elettrica per qualche disfunzione. La ragione di tutto questo è che la maggioranza dei porti turistici italiani è ormai datata e dovrebbe adeguarsi con investimenti che, seppure costosi, non possono mancare. Il problema ritengo dovrebbe essere recepito a livello italiano, perché tutto l’indotto della nautica porta ricchezza al Paese e deve essere rivalutato al massimo.”
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