Com.te Lorenzo Grassi: “Vi racconto gli armatori russi e le loro particolarità”
Attualmente è al timone di una navetta di 30 metri del cantiere Moonen costruita nel 2007 e soggetta a un importante intervento di refit
Più sale che sangue nelle vene, è quello che sente di avere il comandante Lorenzo Grassi. Anche se, pur venendo da una famiglia che con il mare lavora da generazioni, questa carriera inizialmente non era stata data per scontata. Prima gli studi nautici, poi quelli universitari alla facoltà di economia, nonostante gli imbarchi nelle pause estive, a lasciare aperte strade diverse. Alla fine però il mare ha vinto e oggi il comandante Grassi parla con SUPER YACHT 24 del suo particolare percorso che lo vede da molti anni al comando di yacht di armatori russi.
Comandante Grassi, ha tentato di sfuggire al suo destino, ma il richiamo del mare è tornato con forza. Come è andata?
“Quando ho intrapreso il mio primo imbarco come studente su una barca a vela di legno comandata da mio padre, ho capito subito che quel lavoro non era l’avventura che immaginavo. Richiedeva un impegno enorme, studio e sacrificio; la preparazione doveva essere altissima. Non ero ancora pronto per apprezzare appieno questa professione, così decisi di concentrarmi sugli studi universitari per seguire una carriera economica, continuando a imbarcarmi durante le pause. Quando è arrivato il momento di scegliere la mia strada, il richiamo del mare si è fatto nuovamente sentire. Grazie ai contatti che avevo mantenuto, ho avviato la mia carriera attuale.”
Com’è stato il suo percorso in termini di barche dall’inizio a oggi?
“All’inizio ho scelto di lavorare su barche a vela, ritenendole più formative. Sono passato da piccole imbarcazioni a yacht di dimensioni maggiori, fino ad arrivare alle barche a motore. Ho puntato su incarichi che mi permettessero di crescere professionalmente, affrontando barche trascurate che necessitavano di interventi complessi o collaborando con armatori che cercavano supporto nella gestione delle loro imbarcazioni.
Ho sempre puntato sul sacrificio e sulla formazione, cercando di offrire un servizio che potesse migliorare la mia esperienza e, di conseguenza, poter dare un valore aggiunto al modo di vivere il mare dell’armatore. La scelta di evitare compiti semplici o viaggi facili mi ha permesso di scalare i gradini della carriera.”
Che tipo di armatori ha conosciuto nella sua carriera?
“Negli ultimi venti anni ho lavorato principalmente con armatori russi o di origine russa. Il mio primo incarico in questo ambito, durato quasi dodici anni, è stato su yacht Pershing molto veloci e tecnologicamente avanzati. Ho dovuto affrontare un ambiente dinamico e imprevedibile, cercando di conciliare le esigenze dell’armatore e dei suoi ospiti — che per i russi sono sacri — con limiti tecnici e normativi.”
Come è entrato in contatto con il primo armatore russo?
“Circa 20 anni fa mi trovavo in Sardegna con un armatore che aveva rapporti con alcuni armatori russi. Era il periodo in cui in Russia si stava formando la classe dei ‘nuovi ricchi’. All’epoca, osservando le loro manifestazioni esuberanti, pensai che avrei preferito non avere in carriera uno di loro come armatore. E invece l’anno successivo, un amico russo del mio armatore, che non aveva alcuna esperienza nella nautica, mi contattò dopo aver comprato un Pershing di 18 metri, solo perché attratto dal suo design. Durante una delle nostre prime uscite, ormeggiati a Portofino, uscì per fare un giro e al rientro non vide più la sua barca che nel frattempo era stata nascosta da un 40 metri ormeggiato a fianco. Questo lo convinse che il suo yacht fosse troppo piccolo e ad acquistare un Pershing di 30 metri il giorno dopo. Il mio compito fu di introdurlo alla cultura del mare, affinché potesse apprezzare appieno il divertimento e le opportunità offerte dal suo yacht. Con il tempo l’armatore imparò a gestire le sue esperienze trovando vera soddisfazione nelle sue vacanze.”
Cosa intende per vera soddisfazione?
“Generalmente, i russi tendono a presentarsi come persone chiuse e poco comunicative, vengono spesso definite ‘poker face’. Sono pragmatici e concreti, ma se si riesce a entrare in sintonia con la loro cultura, si scopre che possono essere molto cordiali e anche desiderosi di divertirsi, anche che non sono abituati a farlo. Un mio armatore, ad esempio, inizialmente veniva in barca solo per dormire, per poi la sera sfruttare ogni gioco disponibile, rischiando anche di farsi male. Con il tempo, ho imparato a comprendere i suoi desideri e a gestire le sue contraddizioni, ed alla fine è riuscito a divertirsi davvero godendosi la sua barca e i suoi ospiti.
L’armatore le è stato grato per avergli rivelato ‘un mondo’?
“Nell’immaginario comune, i ‘nuovi’ ricchi russi non hanno scrupoli. All’inizio, l’equipaggio era sconcertato dalla loro apparente insoddisfazione. Ma in realtà loro non sono abituati a esprimere apprezzamento se le cose vanno bene; parlano solo quando qualcosa non va…e se ciò avviene a quel punto può essere un problema. La loro educazione rigida e la loro sicurezza li rendono essenziali, incapaci di mostrare gratitudine. Tuttavia, il loro riconoscimento arriva sempre, spesso inaspettato, magari dopo anni.”
Ci può raccontare qualche esperienza particolare?
“Ho avuto un rapporto duraturo con un oligarca russo, Oleg Tinkov, inizialmente malvisto dai suoi connazionali per la sua grande diversità. Era dinamico e geniale, con esperienze di vita negli Stati Uniti e tendenze filo americane. Tinkov ha creato una delle 12 banche online più grandi al mondo, introducendo le carte di credito in Russia. Le sue idee, espresse anche sui social, lo portarono a dover lasciare la Russia e a perdere la cittadinanza. La mia lunga collaborazione con lui mi ha aiutato a comprendere meglio la mentalità di questo popolo. Mi consigliò tra l’altro di non imparare mai il russo, per consentire a lui e agli altri una maggiore privacy. Purtroppo, il nostro rapporto si è interrotto per circostanze indipendenti dalla nostra volontà.”
Nel suo percorso ha incontrato l’attuale armatore. Quali esigenze aveva?
“Il mio attuale armatore, anch’esso russo, ha acquistato nel 2019 una navetta di 30 metri del cantiere Moonen, costruita nel 2007. Questo yacht, dal design classico e robusto, ha subìto diversi refit nel tempo, spesso incoerenti. L’ultimo intervento aveva modificato il layout per aumentare il numero di cabine, ma ne aveva reso difficile l’accesso a causa della vicinanza delle scale laterali, compromettendo anche la sicurezza. Il progetto non aveva tenuto conto del fatto che quando si apportano modifiche a una barca di oltre 15 anni, vi sono i suoi limiti fisici da considerare e che è fondamentale mantenere la linearità del progetto originale. Gli spazi ristretti di una navetta degli anni ’30 non sempre possono adattarsi alle dimensioni delle attuali cabine, e anche le nuove tecnologie potrebbero non trovare spazio a bordo.”
Come è finita?
“Di fronte a questa situazione, il mio armatore ha deciso di ripartire da zero lanciandomi la sfida di riportare la barca a condizioni ottimali di efficienza e affidabilità. Ho proposto un iniziale viaggio “vacanza-studio” di due settimane per valutare i problemi della barca e le soluzioni da apportare. Durante quel periodo, mi sono impegnato al massimo per risolvere le disfunzioni che emergevano informandolo con discrezione per permettergli di godersi la vacanza.
Alla fine del viaggio ho quindi potuto pianificare con consapevolezza una serie di lavori interni, creando open space e intervenendo su tutti gli apparati ausiliari e sui sistemi di sicurezza. Dopo due anni di lavoro, oggi posso dire di aver raggiunto il 90% di efficienza: un risultato soddisfacente considerando le condizioni iniziali. Nel progetto di ottimizzazione ho incluso anche la nuova base di ormeggio e manutenzione a La Spezia, vicina alla residenza estiva dell’armatore. Ma la mia più grande soddisfazione è arrivata quando, al termine della crociera, mi ha detto che era stata la più bella vacanza della sua vita.”
Come affronta la creazione di un team?
“Ho una mia visione: oltre a gestire le sfide della convivenza in spazi ristretti, carichi di lavoro e differenze culturali, ritengo essenziale formare un team in cui ogni membro, dal più inesperto al professionista esperto, abbia un grande potenziale e la voglia di dare il massimo. Chiedo a tutti di fare un ‘extra mile’, contribuendo con motivazione e voglia di migliorare. Valorizzo il potenziale di ciascuno e, quando scopro capacità promettenti, sono pronto ad assumere, indipendentemente dall’esperienza o dall’età. Non rinuncio agli esperti, anzi, credo che la combinazione di persone diverse, quando unite da questo potenziale, possa dar vita un gruppo eccellente. Quando ciò accade tutto funziona meglio, creando un’armonia che coinvolge anche l’armatore, ed è davvero una grande soddisfazione.”
Ha un consiglio per il mondo della nautica?
“L’Italia è un punto di riferimento nella cantieristica nautica, ma dovremmo concentrarci non solo sulla costruzione, ma anche sull’uso delle barche, che a mio avviso sono ormai troppe. E’ spesso difficile sostare in rada nelle aree marine rinomate. È necessaria una nuova gestione del mare.”
Cosa intende?
“Un tempo, i cantieri producevano quattro o cinque barche all’anno, ma ora la produzione è esplosa, arrivando a produrre 30-40 barche indipendentemente dalla domanda. Questa situazione mi preoccupa dal punto di vista ambientale, poiché non vedo soluzioni per lo smaltimento dei materiali utilizzati, principalmente la vetroresina. Un tempo, gli armatori cambiavano barca ogni dieci anni e si preoccupavano del destino del loro precedente yacht gestendolo fino all’ultimo. Oggi, invece, i cantieri ritirano l’usato con un turnover accelerato. Il problema dello smaltimento del vetroresina è noto da anni. Se per la sua produzione e lavorazione sono state trovate modalità meno impattanti sull’uomo e sull’ambiente, purtroppo per il suo smaltimento siamo ancora lontani da una soluzione.”
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