Model Maker Group: “Siamo un cantiere navale in scala, per modelli sempre più evoluti”
Ecco come nascono le riproduzioni in scala di navi e superyacht che si possono ammirare ai saloni, negli showroom ma anche negli uffici privati di armatori o di chi sogna la barca della vita
Amsterdam (Olanda) – Quante volte, passeggiando per un salone nautico, negli uffici di un cantiere nautico o a qualche evento è capitato che la nostra attenzione venisse attirata dal modellino di un superyacht? Una fedele riproduzione in scala, ormai sempre più evoluta e vicino al vero, che esalta le linee esterne di un progetto, spesso ponendo l’attenzione su quelle parti mobili, come le terrazze laterali che si abbattono o l’apertura del portellone di un garage.
Comunemente chiamati “modellini”, sono oggetti molto complessi e costosi, che spesso vengono utilizzati dai cantieri come biglietto da visita della loro capacità costruttiva, di progetti futuri o passati, con cui colpire il potenziale armatore con un concentrato di bellezza in miniatura.
Giuseppe Capobianco, titolare di Model Maker Group, lo chiama “l’effetto wow”. Lui questi modelli li costruisce per tutto il mondo (oltre 45 Paesi), in media più di uno al giorno. SUPER YACHT 24 lo ha incontrato al Mets di Amsterdam.
Giuseppe Capobianco, cosa fa Model Maker Group?
“Model Maker Group è un’azienda che ha base a Itri, in provincia di Latina. Insieme ai miei collaboratori ci occupiamo di produrre modelli in scala di yacht per la maggior parte dei cantieri italiani ed esteri. La storia della nostra azienda è iniziata una ventina di anni fa, costruendo modelli in un garage, per una passione che avevo da bambino. Poi man mano ci siamo ingranditi e strutturati. Negli ultimi dieci anni è entrata in società mia moglie, che poi è diventata amministratore delegato dell’azienda, e insieme gestiamo la produzione”.
Da bimbo appassionato a imprenditore. Com’è cresciuta la vostra attività?
“L’entrata di mia moglie, essendo lei un ingegnere gestionale, ha generato una sorta di industrializzazione del processo che prima era di natura artigianale. Nel tempo è diventato di tipo industriale perché la richiesta era sempre maggiore, le barche crescevano di complessità e metraggio. Ci siamo dovuti strutturare e oggi l’azienda conta 35 persone, con una produzione all’incirca tra i 400-430 modelli l’anno per il tutto il mondo”.
Quanto tempo impiegate per fare un modello?
“Generalmente la consegna è data in due mesi, il tempo medio con cui noi facciamo un modello. Ora abbiamo un rapporto con i cantieri e cerchiamo di pianificare con loro il nostro lavoro. Cerchiamo di capire ciò che vuole il cantiere fare durante l’anno, se intende lanciare nuovi modelli o presentare progetti custom. Avendo questa mole di modelli, possiamo pianificare un pochino la produzione, perché altrimenti sarebbe difficilmente gestibile”.
Che materiali e che tecniche usate e che ruoli professionali avete all’interno dell’azienda? “Nella parte di progettazione ci sono diversi architetti e persone che comunque lavorano con noi da diverso tempo. Questo perché per progettare un modello, comunque, occorre un’esperienza anche sul campo, su come viene fatto il modello. A livello di tecnologia, abbiamo tantissime stampanti 3D, ma anche centri di lavoro computerizzati a 5 assi, che ci permettono di creare modelli, anche in un blocco intero, evitando deformazioni o problemi di giunture che molte volte le stampanti 3D possono dare”.
Costruite uno scafo un po’ come nella realtà…
“Esatto. Viene separato in più pezzi e con cinque assi viene costruito in un unico pezzo. Questo garantisce al cliente un modello solido nel tempo, che non si deforma e non si rompe. Le tecnologie man mano si sono evolute con tagli laser, macchine di stampa particolari, perché negli ultimi anni si è passato da fare il modellino a una piccola barca, dove i designer e i cantieri vogliono vedere sempre più anche l’interno la realtà. Ma al di là dell’interno, molte volte viene chiesta un’altissima definizione delle finiture esterne, quindi il sughero, il tavolino decorato con il marmo di Calacatta, il mosaico. Tutto questo deve essere riprodotto quanto più fedelmente possibile”.
Che scale utilizzate?
“Le scale generalmente vengono concordate con il marketing e dipendono dalla dimensione della barca. Se una barca è molto grande, cioè intorno ai 100 metri, generalmente viene suggerita una scala 1:100, 1:75, in modo da avere un modello di un metro, un metro e mezzo. Noi suggeriamo dimensioni del genere, anche per non generare tanti costi di trasporto. Muovere un modellino di questo tipo ha i suoi costi. Abbiamo fatto modelli anche di 4-5 metri, quindi molto grandi, che ovviamente hanno il loro impatto. Abbiamo fatto modelli elettronici movimentati e illuminati. Dai 20 ai 30 – 40 metri si usa una scala 1:30, sempre per avere un prodotto finito di un metro – 80 centimetri. Il cantiere, una volta che ha deciso una tipologia di scala, nel tempo si cerca di seguire sempre quella, così nei vari showroom i modelli vengono esposti correttamente, in modo che il visitatore possa apprezzare le varie dimensioni e le differenze tra un 30, un 40 e un 100 metri”.
C’è un modello che ricorda in particolare?
“Ci sono diversi modelli, tra cui uno dei più grandi che abbiamo fatto. Era un lavoro per il Dubai. Expo: un catamarano lungo 4 metri e mezzo. Abbiamo messo a dura prova la parte più ingegneristica, perché il modello aveva le dimensioni di una piccola barca. Si immagini movimentarla e trasportarla, con un albero con 5 metri e mezzo di altezza. Ci siamo dovuti ingegnare per montarlo, diventando poi un piccolo cantiere. Ogni modello ha la sua storia, molte volte legata agli armatori”.
Ma loro non comprano la barca “vera”?
“Sì, ma ultimamente stiamo lavorando molto con gli armatori diretti, che vogliono vedere nel loro modello una storia, un qualcosa che riconoscono, una memoria. C’è chi nel suo ufficio vuole esporre il suo yacht, una barca molto famosa su cui è stato o su cui aveva trascorso dei bei momenti con la famiglia. Alcuni armatori si fanno costruire i modelli della flotta di famiglia, specie chi nel tempo ha avuto diverse barche. Abbiamo anche dal Lady Moura, al Christina O di Onassis, fatti per diverse persone, così come barche dei Cantieri di Pisa, tipo Atlas e i primi Akhir. Così noi andiamo a ricostruire anche barche storiche di cui di certo non avevamo i disegni in Cad”.
In questo caso dove trovate la documentazione tecnica?
“Oggi il cantiere ti passa tutto il progetto, ma grazie alla bravura del nostro ufficio tecnico siamo in grado di modellare una barca anche da zero. Per una barca di 20 anni fa, non esistevano ancora i disegni cutter, ma esistevano i disegni cartacei e il nostro ufficio tecnico ha le capacità di adeguare il disegno cartaceo alla tecnologia. I nostri ragazzi hanno imparato a digitalizzare il disegno e a creare un modello 3D partendo da zero, in modo da riprodurre più fedelmente possibile la barca, avere il controllo di prodotto, consultando anche immagini e foto”.
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