“Coraggio e insicurezze”: il racconto della com.te Maria Rametto promossa da Alberta Ferretti
Colei che oggi timona l’explorer yacht di 40 metri Genesia rivela i suoi segreti del mestiere e manda un messaggio ai giovani e all’universo femminile
Maria Rametto è la comandante dell’explorer yacht di 40 metri Genesia, nonché la prima donna a ricoprire questo ruolo intervistata da SUPER YACHT 24. Da tempo la comandante Rametto declina le richieste di interviste dai media, ma oggi decide di parlare con il nostro giornale per lanciare un messaggio all’ “emisfero femminile” sulle opportunità offerte da questa carriera.
Comandante Rametto, iniziamo dalla sua esperienza personale. Perché ha scelto questa carriera?
“Il mio primo approccio al mondo della nautica è avvenuto in barca a vela all’età di cinque anni. Da quel momento, la vela ha rappresentato per me una palestra per l’attività fisica, uno sport e una fonte di divertimento. Da bambina, il mare mi metteva paura, ma crescendo ho acquisito fiducia e il mio amore per la vela è esploso. Così ho iniziato a partecipare a regate e a fare tutta la gavetta classica dei velisti. Col tempo è cresciuto in me un fortissimo desiderio di navigare, una vera ‘fame’ di conoscenza marinaresca che ha sostituito l’amore per la competizione, e dopo il liceo, ho deciso di iscrivermi a un istituto nautico iniziando a imbarcarmi ovunque possibile, con l’unico obiettivo di guadagnare esperienza e arrivare al comando, che ho ottenuto a 33 anni. Credo di essere stata una delle più giovani donne al comando nello yachting.”
Come ottenne il primo imbarco?
“Pubblicai annunci ovunque e venni subito contattata come marinaio, anziché come hostess, e ne fui felicissima. Da lì iniziò la mia gavetta nel mondo della ‘coperta’ della nave. Il comandante si affezionò a me, che intanto studiavo per conseguire i titoli italiani, avvantaggiata dalla navigazione costiera pregressa.”
Perché ha scelto di ottenere titoli italiani?
“Ho voluto conseguire i titoli italiani, noti per gli esami impegnativi, perché volevo avere una solida competenza. E poi la mia vera ‘fame’ era l’esperienza, non temevo lo studio. Dopo meno di due anni sono passata a primo ufficiale. Quando il comandante se ne andò, avevo già i titoli per il comando, ma nessuna ora di vera esperienza. L’armatrice, la stilista Alberta Ferretti, si fidò di me, ed è così che ha avuto inizio la mia carriera di comandante su un 45 metri, un ex rompighiaccio russo del 1956. È stata un’esperienza incredibilmente positiva, piena di emozioni che mi hanno fatto quasi perdere il sonno per un anno.”
Qual è stato l’aspetto più difficile nel suo primo lavoro da comandante?
“Sicuramente la gestione dell’equipaggio e della nave. Anche se ho iniziato con un’imbarcazione di 45 metri mi sentivo preparata nella manovra avendo assistito molte volte come primo ufficiale e annotato tutte le tecniche che dovevano essere messe in pratica nelle situazioni particolari. Abbiamo sempre navigato nel Mediterraneo, anche se l’armatrice aveva considerato l’idea di esplorare i mari del Nord; purtroppo i suoi impegni lavorativi serrati non sono stati compatibili con la complessa preparazione di un viaggio del genere.”
Quindi la sua prima esperienza da comandante è stata con una donna armatrice. Cosa le ha dato in più questa esperienza?
“Ho comandato questa nave per quattro-cinque anni, e Alberta Ferretti per me è stata importantissima perché mi ha concesso un’enorme fiducia; lo stesso hanno fatto anche i suoi figli. Tuttavia, quegli anni sono stati caratterizzati da grande tensione, perché le responsabilità del comando sono immense e la paura di sbagliare nel mio primo incarico era forte.”
La paura era aggravata dal fatto di essere donna?
“Essendo giovane e con poca esperienza, ogni piccolo problema mi sembrava enorme. Ero terrorizzata all’idea di sbagliare e di rischiare. Dopo l’incarico ho avuto bisogno di un periodo di recupero, e sono tornata alla vela e al sale in faccia per un periodo, pensando addirittura di non imbarcarmi più come comandante. Sentivo che un mio errore sarebbe stato etichettato come ‘il fallimento di una donna’, piuttosto che come un normale errore di apprendimento. Questo atteggiamento mentale mi ha accompagnato per diverso tempo. Poi a un certo punto ho iniziato a vedere gli errori come opportunità di apprendimento, sentendomi fortunata rispetto a chi non sbaglia mai. Oggi credo che situazioni del genere ce le creiamo da sole, il che ci porta a vivere male le esperienze, con troppa pressione.”
Come vive oggi il comando della sua nave?
“Oggi il comando rappresenta per me un’esperienza completamente diversa, molto più serena e meno gravosa. Ci sono comunque aspetti di questo lavoro che possono essere pesanti e dai quali non si può prescindere, come la convivenza costante con persone che, per quanto meravigliose, non si sono scelte. La verità è che si fa fatica a vivere la vita degli altri e si avverte il bisogno umano di dare più spazio alla propria esistenza.”
Esiste un modo per affrontare questo problema e recuperare energia?
“Sì, negli ultimi due anni ho organizzato il lavoro in modo che un mio collega prenda il comando in inverno, mentre io torno per l’estate, il periodo clou. L’armatore con cui lavoro è una persona straordinaria e illuminata; dopo anni di comando, potrei considerare di lasciare questo stile di vita, ma il suo forte desiderio di farmi restare mi frena. A novembre partiremo per una lunga navigazione che ci porterà ai Caraibi, in Venezuela e in Colombia. È un progetto meraviglioso, che avevamo iniziato nel 2019, ma che non abbiamo potuto completare a causa del Covid. Questa volta speriamo di portarlo a termine, dopodiché penso che mi prenderò una lunga pausa.”
Come è iniziato il suo rapporto con l’attuale armatore?
“Il mio armatore, un italo-francese che vive in Italia, è un velista e ci siamo incontrati tramite amici comuni. Ha voluto questa barca per la sua meravigliosa famiglia; vive il mare con passione, con un approccio da velista, ‘respirando’ il mare. A bordo abbiamo due barche a vela e gareggiamo di tanto in tanto. Il suo è un coinvolgimento autentico; sul Genesia si percepisce un’armonia rara da trovare su altri yacht. La sua energia positiva mi ispira a affrontare le difficoltà, che nello yachting riguardano soprattutto le dinamiche umane.”
Parliamo di queste dinamiche: come riesce a gestire le sfide che sorgono con gli equipaggi, che spesso possono sembrare insormontabili?
“Questo è un tema a cui tengo molto. A un certo punto della mia carriera, ho spostato la mia attenzione dalla motivazione verso la navigazione all’equipaggio, come se ci fosse stata una vera e propria trasformazione in me. L’equipaggio è la massima priorità, prima di qualsiasi altro aspetto, come radar o motori. È essenziale curare le dinamiche di gruppo, e occorre studiare per questo, come insegnano gli inglesi che sono avanti su questo tema. Essere consapevoli di questi meccanismi aiuta a gestire meglio le situazioni e a sviluppare strumenti per affrontare le differenze e gli stili di vita di ognuno.
Qui siamo otto persone in 25 metri quadri, e ogni azione inappropriata di una persona può influenzare gli altri. Negli ultimi anni la gestione dell’equipaggio è diventata un focus centrale nel mio comando.”
Quando si seleziona un nuovo membro dell’equipaggio, quali aspetti vanno considerati?
“Ho imparato che è fondamentale rispettare la personalità dei nuovi membri dell’equipaggio. È importante accettare chi desidera rimanere solo pochi mesi, poiché la motivazione personale è cruciale per ottenere buoni risultati. Oggi cerco persone pronte a unirsi per una stagione, offrendo contratti di 5-6 mesi, il che consente loro di ricaricarsi e migliorare la propria vita. Questo approccio ha portato a un buon turnover di persone motivate che spesso tornano a navigare con noi.
Con la prossima partenza per i Caraibi, avremo un nuovo direttore di macchina, una giamaicana esperta, e una nuova hostess. Saremo un gruppo di otto persone a maggioranza femminile, composto da cinque donne e tre uomini, con due donne in ruoli chiave.”
Perché sente la necessità di parlare alle donne e alle ragazze?
“Ho notato che le donne tendono a rischiare meno e a non proporsi per ruoli di responsabilità, nonostante spesso abbiano competenze superiori. Sembra che abbiano bisogno di una spinta in più. Inoltre, alcuni studi segnalano un calo nel numero di donne in questa carriera. Credo che noi donne comandanti dovremmo far sentire le nostre voci e condividere le nostre esperienze.
Ritengo che la leadership ci appartenga, poiché le donne hanno una forte capacità di visione d’insieme, fondamentale in questo lavoro. Le ragazze che lavorano con me sanno elaborare informazioni e organizzare il lavoro in modo efficace. I ragazzi, d’altra parte, eccellono in altre aree, ma la visione d’insieme rimane una dote chiave nella gestione e nel comando.”
Come si possono affrontare i principali problemi degli equipaggi, come lo stress da lavoro eccessivo in spazi ristretti?
“È fondamentale avere il coraggio di rivendicare i propri diritti. Ho vissuto situazioni difficili, soprattutto quando ero ai primi passi della mia carriera, e ricordo quanto fosse faticoso arrivare a fine turno. Non è stato tutto rose e fiori; ho affrontato momenti di stress estremo durante i charter, in cui mi sentivo completamente esausta. Spesso, manca il coraggio di dire ‘non ce la faccio più”. Se noi marittimi fossimo più audaci, potremmo migliorare la nostra situazione.”
Quali aspetti cura in particolare per garantire la sicurezza nella navigazione?
“Mi concentro sulla professionalità dell’equipaggio e sulle condizioni della nave. È essenziale che tutti sappiano esattamente cosa fare per garantire la sicurezza a bordo, poiché non esiste un allenamento per affrontare le emergenze impreviste. Abbiamo procedure standard da seguire: ad esempio, in caso di incendio, è fondamentale mantenere la lucidità e seguire il protocollo; questo è l’unico modo per salvarsi.”
Sappiamo che ci vorrà tempo per scoprire cosa è realmente accaduto sul Bayesian. Si è fatta un’opinione al riguardo?
“La vicenda mi ha colpito profondamente, come ha colpito tutti noi marittimi. Ho scelto di non farmi influenzare da tutto ciò che è stato detto. Credo che la tragedia sia stata il risultato di una serie di eventi, anche piccoli, e sono convinta che l’equipaggio abbia fatto tutto il possibile. Noi marittimi siamo a bordo per lavorare, non per mettere a rischio la nostra vita. Tra uno o due anni sapremo cosa è realmente successo.”.
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