Andrea Capitani, figlio d’arte con la passione per il comando nel cognome
Intervista al giovane membro di Italian Yacht Masters che racconta la sua rapida ascesa professionale e lancia un messaggio con qualche suggerimento ai cantieri navali
Il comandante Andrea Capitani, classe ’88, si diploma all’Istituto Tecnico Nautico e decide di iniziare la sua attività facendo esperienza a terra, prima per due anni in un cantiere navale e poi come ormeggiatore. Figlio del comandante Maurizio Capitani (vicepresidente di Italian Yacht Masters) non resiste al richiamo dello yachting e nel 2014 decide di orientarsi verso questo settore; è anche lui membro dell’associazione dei comandanti italiani di yacht.
Comandante Capitani, di quali stimoli era in cerca quando decise di approcciare la carriera nello yachting?
“Ero attratto dall’idea di navigare e di interfacciarmi con questo mondo esclusivo, stimolante anche per le possibilità che offre di conoscere vere personalità. Mi era capitato di avere due brevi esperienze, una con mio padre nel charter e l’altra insieme al comandante Coli, che mi avevano dato un’idea di quello a cui sarei andato incontro; fu poi il comandante Gino Battaglia, presidente dell’Italian Yacht Master, che mi propose un’opportunità come marinaio; il colloquio fortunatamente andò bene e iniziai la carriera su un 50 metri Codecasa, forte di un equipaggio di 11 persone.”.
Che tipo di situazione trovò in questo primo vero imbarco?
“L’equipaggio era un mix di nazionalità: francesi, filippini, rumeni, ucraini. Lo yacht apparteneva a un armatore che viveva a bordo – quindi era una situazione un po’ diversa dal solito – e faceva base a Montecarlo. Dopo la stagione di 6 mesi con crociere classiche in Costiera Amalfitana, Sardegna, Corsica e Costa Azzurra, l’armatore cambiò barca prendendo un Lürssen di 70 metri sul quale doveva essere ricreato un equipaggio più numeroso e io, in un primo tempo, fui destinato a restare sul Codecasa che sarebbe stato messo in vendita. Il caso però volle che un marinaio che doveva far parte del nuovo Lürssen rinunciasse all’incarico e chiesero a me di sostituirlo: dissi subito di sì”.
In cosa si distingueva la nave Lurssen da quelle italiane che aveva conosciuto?
“Era una sorta di prototipo, non ne sono stati costruiti altri dal cantiere, non larghissima e abbastanza veloce. L’equipaggio era composto da 21 persone, sempre di nazionalità mista ma con maggioranza italiana. Dopo alcuni giorni ci fu la partenza dalla sede di Lürssen in Germania, dove provai un’emozione incredibile sia per la dimensione del cantiere che delle barche che stavano costruendo e anche per la vista di quella sulla quale mi sarei imbarcato. Da Amburgo facemmo tappa in Norvegia per questioni di documenti, poi ci fu la traversata del Mare del Nord con tappa in Normandia per il maltempo, poi Gibilterra per il rifornimento, a Tenerife per alcuni lavori che andavano fatti. Infine tirammo dritto per 8 giorni grazie all’ottimo tempo che ci sostenne fino a Saint Martin, dove siamo rimasti da metà dicembre fino ai primi di aprile 2015. Un’esperienza bellissima in tutti i sensi, per l’ottima clima che si era creato a bordo e per le emozioni del viaggio.”
Quando ha cominciato a voler aspirare alla carriera di comandante?
“Nel 2015 ho conseguito lo Yacht Master, poi nel 2016-17 ho iniziato ad affacciarmi verso la carriera Mca. Ho conseguito prima il Master 200 che consente di lavorare come ufficiale su barche fino a 500 Gt, un titolo che si può raggiungere anche avendo alle spalle poca navigazione, poi la patente da primo ufficiale e poi il master 500. Quest’anno, a fine stagione, ho programmato di sostenere l’esame per il master 3000.”.
Cosa si aspetta con il passaggio a quest’ultimo titolo?
“Il mio obiettivo è avere la patente più importante perché è molto qualificante per chi lavora nello yachting, a prescindere dalla dimensioni degli yacht che potranno essere portati.”
Nessun timore di diventare più un business man che un uomo di mare?
“Rispetto al timore di diventare più manager che altro credo si debba trovare il giusto compromesso. La mia ambizione è quella di crescere professionalmente insieme al mio team.”
Dal 2022, fresco di patente per il comando fino a 500 tonnellate, ‘prende il timone’ di un Benetti di 35 metri; come visse questa prima esperienza di comando?
“Con l’armatore, un italiano esperto, ci siamo trovati bene fin da subito. Abbiamo fatto un bel refit in questi due inverni e nella prima stagione, l’anno scorso, abbiamo navigato per 5 mesi toccando tutti i porti classici della Toscana, Costa Azzurra, Baleari, Sicilia, Costiera Amalfitana, percorrendo circa 5.000 miglia. L’equipaggio è composto da sei persone di cui la maggioranza è stata portata da me e si è amalgamata bene con il marinaio che era nel precedente equipaggio.
L’esperienza è stata completamente nuova, sia per il mio primo incarico come comandante che per le persone e l’ambiente; non abbiamo avuto tempi morti ma al contrario, abbiamo dovuto correre per 4 mesi per far rientrare nella classe Abs la barca.
All’inizio ero molto preoccupato, non tanto per l’aspetto gestionale, quanto per quelli per me nuovi quali ad esempio il relazionarmi con i cantieri, ma soprattutto sentivo la responsabilità del portare la barca non avendo fatto in quel senso molta esperienza. Grazie all’equipaggio e alla grande portabilità di questa barca è andato tutto bene. Una volta maturata la pratica ho realizzato che ho una vera passione per la guida e la manovra e da allora mi sento a perfetto agio nel mio ruolo sotto tutti gli aspetti.”
Quali sono gli aspetti più impegnativi nel lavoro del comandante e quelli che danno più soddisfazione?
“Dal lato impegno, come dicevo, saper gestire bene il rapporto con le ditte che devono effettuare i lavori sullo yacht, sia nell’aspetto della congruità dei lavori che occorrono, sia sotto il profilo del loro costo e, non ultimo, per la tempistica che deve essere sempre rispettata, che è fondamentale e non banale da ottenere: occorre saper fare nel momento giusto molta pressione. La soddisfazione massima da parte mia è vedere l’armatore che approva l’itinerario della crociera che ho elaborato per lui e soprattutto quando a fine crociera si dispiace di dover lasciare quei posti che gli sono piaciuti. E’ lì che si capisce di aver fatto un buon lavoro.”
Ritiene che ‘il buon comandante’ sia in grado di organizzare tutti gli aspetti della crociera da solo?
“Ritengo che in alcuni casi la soluzione migliore sia affidarsi a un’agenzia; ad esempio per cercare la migliore condizione di ormeggio in un porto turistico. Le marine sono in contatto con le agenzie locali e hanno con loro un canale preferenziale. Rivolgersi a queste agenzie, che essendo della zona sono più aggiornate e veloci, significa ottenere prezzi e condizioni assolutamente migliori – anche nel provisioning, o nei trasporti, o per la prenotazione del miglior tavolo del miglior ristorante all’ultimo minuto – rispetto a ciò che può ottenere un comandante di uno yacht. E’ vero che si subisce un costo, ma la resa è massima.”
E invece: fra crociere charter o crociere per privati…qual è il lavoro migliore per un comandante?
“Lavorando per un privato si arriva a conoscere le sue abitudini, desideri, tendenze e si lavora con più tranquillità. Nel charter è il contrario e di conseguenza soddisfare ogni settimana un gruppo di persone che si incontrano per la prima volta significa ricominciare ogni volta da zero. La preferenza per l’uno o per l’altro tipo di lavoro dipende anche dal carattere del comandante. Senza togliere il fatto della mancia a fine charter che fa sempre piacere al marittimo.”
Come mai ci sono poche donne comandanti?
“Penso sia più che altro una questione di scelte. Io sono convinto che una donna al comando potrebbe addirittura essere più capace di un uomo, e ben venga la possibilità di più donne al comando nei prossimi anni. Basta pensare, ad esempio, al capitano Mascia Poma che è da anni al comando di un 70 metri e ha girato praticamente tutto il mondo.”
Un consiglio ai cantieri, o forse ai progettisti, lo possiamo dare?
“Direi di si: il problema delle barche nuove è la mancanza di spazi tecnici e per l’equipaggio. Si nota il desiderio di lasciare sempre più spazio all’armatore, purtroppo però a discapito dell’equipaggio. Questo non è giusto perché l’equipaggio è sottoposto, e per lunghissimi periodi, a un lavoro continuo, mentre l’armatore sale sulla sua barca per la sola stagione estiva. Gli yacht dovrebbero quindi essere in grado di garantire all’equipaggio un certo livello di comodità sia per la loro vita privata che per quella lavorativa.”
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