Federico Rispoli, al comando di yacht dall’età di 20 anni
Intervista a un comandante specialista della propulsione a idrogetto arrivato al timone di navi da diporto di 35 metri
Federico Rispoli è un comandante nato 43 anni fa all’Argentario. Già a 4-5 anni comincia ad accompagnare il padre nella sua officina di motori fuoribordo e neanche un paio d’anni dopo riesce a guidare le barche più piccole, a cominciare da quella di famiglia. ‘Respirando’ così ogni giorno meccanica e guida arriva al diploma all’Istituto Nautico di Porto Santo Stefano avendo già maturato durante le pause scolastiche estive quattro anni di esperienza come marinaio. Subito dopo il diploma, a soli 20 anni, arriva il primo comando. E’ da qui che inizia la sua carriera di cui parla con SUPER YACHT 24 mentre si trova a Valencia per la revisione stagionale di un Mangusta.
Comandante Rispoli, ricevere il primo incarico a 20 anni non è da tutti; non ha avuto timore nel lanciarsi così giovane in un’esperienza che comporta grandi responsabilità?
“Già nell’ultimo anno da marinaio su una barca di 20 metri, sottoposto ad un comandante che amava molto dare ordini e far fare agli altri, mi chiesi se non fosse il caso a quel punto di comandarla davvero io una barca. Cercavano un comandante per un vecchio Baia 60 con trasmissioni Arneson, con un sistema di propulsione di elica a superficie senza l’elica di prua, quindi difficilissima da guidare, e io accettai come fosse una sfida, un po’ da incosciente, forte del fatto che avevo già molta esperienza nelle manovre, anche le più particolari, e conoscevo bene la meccanica. Ne uscii comunque bene e da lì è partita la mia carriera.”
Lei ha avuto, per scelta, esperienze esclusivamente nel mondo dello yachting: come è cambiato il lavoro, e di conseguenza il suo compito, in questo settore in questi ultimi 20 anni?
“L’Argentario, con Genova e un po’ Napoli, rappresentavano una delle grandi scuole dello yachting, ho sempre vissuto quindi in un’area in cui la concentrazione di yacht, fra cantieri e scuole, era altissima. Fino al 2010 gli yacht fino a 25 metri abbondavano ed erano quasi tutti di armatori italiani. Il lavoro al tempo dei miei inizi, circa 24 anni fa, era completamente diverso: si svolgeva solo nella stagione estiva, senza pause, per massimo 4 mesi, mentre lo stipendio era percepito tutto l’anno in quanto l’armatore comprendeva il sacrificio estivo e lo compensava così nei mesi in cui non si viaggiava. Adesso, con le barche che sono diventate sempre più grandi e stanno sempre in acqua il lavoro è H24 ogni giorno dell’anno.”
Nella sua carriera partita con un 18 metri, passando per un 27 è oggi arrivato a comandare un Mangusta di 35 metri, qual è il suo obiettivo in termini di lunghezza?
“Non voglio scendere sotto questa soglia dei 35 metri, neanche in caso di ottime offerte magari più vicine a casa. Normalmente ai comandanti vengono offerti nuovi impieghi in barche di metraggi simili a quelle che hanno precedentemente guidato a eccezione di casi fortunati come può essere quello di lavorare per un armatore che vuole cambiare la barca e prenderne una più grande. Come è successo a me: un armatore di un 27 metri con il quale avevo lavorato anni prima e che aveva sospeso l’attività mi ha ricontattato perché voleva prendere un 35 metri, ma solo se gli confermavo che sarei stato io a comandarla.”
Quale preoccupazione può creare a un armatore far comandare una barca di 10 metri più grande a un comandante comunque esperto?
“Credo che immaginino che questi 10 metri possano rappresentare chissà quale differenza. In realtà, a livello tecnico, quindi di manovra, più la barca è grande e più è facile guidarla, perché è più pesante e più stabile, e inoltre ha la possibilità di avere anche due marinai a prua e due a poppa che aiutano nelle manovre. Immagino che il problema eventuale possa essere rappresentato dalla gestione di un equipaggio più numeroso. Di fatto è così. Diverso è il discorso sul tipo di propulsione, qui è comprensibile che per certi tipi di motorizzazione si cerchi chi ha esperienza specifica.”
Lei è specializzato in sistemi a idrogetto: quali sono le peculiarità di questo sistema?
“Il sistema a idrogetto è estremamente sensibile, il controllo deve essere a 360 gradi, il comandante una volta acceso il motore ha una barca non stabile ma che si muove, che scappa via come diciamo noi “come una saponetta quando è bagnata” mentre il comandante non ha più la possibilità di muoversi avendo le mani impegnate sui due rotori e il piede sulla pedaliera che governa il bowtrusters. Ogni più piccolo movimento, non adeguato, fa scappare via la barca. Non ci si può improvvisare e non c’è nessuno che ti spieghi come approcciare a questo sistema, se non un collega disponibile che ti porta con sé per fartelo provare. Una volta imparato a dominare la sensibilità del sistema a idrogetto si riesce a governare meglio la barca rispetto a un sistema ad asse. Ed ha anche altri vantaggi: è più veloce, consuma meno e ha meno vibrazioni. E’ vero che i costi sono più alti e la manutenzione più complessa, ma posso dire comunque che guidare una barca a idrogetto è molto più divertente e che la mia aspirazione è continuare a guidarle.”.
Cosa può dirci della sua attuale esperienza che la vede da un anno al comando di Mangusta 108 con una società di Ibiza che fa charter giornalieri?
“Non avevo mai fatto charter giornalieri fino allo scorso anno; la nostra tratta abituale è stata Ibiza-Formentera con partenza intorno alle dieci e ritorno ogni sera entro le ventuno. In questo tipo di attività, data soprattutto la località della tratta, l’importanza primaria sta nella bravura dell’equipaggio nel gestire i clienti che hanno una grande voglia di divertirsi e per questo possono esporsi a rischi di qualsiasi tipo. La vera bravura sta nell’avere 100 occhi aperti e controllare senza sosta tutti i componenti che se in viaggio possono essere 11 o 12 poi a Formentera, da fermi, possono trasformarsi anche in 24 con il passaggio da una barca all’altra. L’anno scorso siamo stati, una volta fermi, ininterrottamente per 4-5 ore sotto il sole sulla spiaggetta di poppa ad assistere i clienti in tutte le loro richieste fra moto d’acqua, seabob, tuffi e quant’altro e a intervenire subito nel caso di loro bisogno. Il nostro compito è di accontentare il cliente, non privarlo della possibilità di divertirsi come vuole e stare attenti che nessuno si faccia male. Un compito estremamente impegnativo per tutta la crew”.
Quali sono le cautele che prendono le società di charter quando fanno queste tratte?
“Le società di charter fanno accurate valutazioni per ottenere un bilanciamento fra costi/ rischi e ricavi /vantaggi. Oltre alla sicurezza delle persone c’è anche il valore della barca sottoposta piuttosto frequentemente a danni e anche il costo delle marine, che a Ibiza è tre volte più alto di quello della Costa Azzurra”.
Chi è il cliente tipo che fa charter con un Mangusta?
“Calciatori famosi, attori, gente di spettacolo, molti rapper. Quasi sempre sono famosi e per questo ci sono attenzioni particolari già a partire dal contratto della società di management che deve tutelare la loro privacy implicandosi serie questioni di sicurezza: sono sempre proibiti selfie, foto, social etc. Questo è oggetto di riunioni con la crew.”.
Tutte queste persone famose sono facili da trattare?
“Sono persone a volte più semplici di quelle “normali” e molto rispettose, è più probabile che problemi di questo tipo ci siano con i ricchi non famosi che sono mediamente più pretenziosi. Questa è la mia esperienza.”.
Quale futuro si immagina per la sua carriera? Andrà oltre il Mediterraneo?
“Andare oltre il Mediterraneo mi attrarrebbe, ma ho una moglie e tre figli piccoli, per cui quello che vorrei è comandare una barca importante, ma non oltre i 45-50 metri per rimanere più “operativo” e non trasformarmi in manager, e riuscire ad essere un pò più vicino alla famiglia, soprattutto in inverno. Adesso, nel clou della mia carriera, il mio obiettivo ideale sarebbe un Mangusta 130. Possiamo anche chiamarlo il mio sogno, perché “Mangusta”, perché idrogetto, perché di dimensioni ideali”.
Lei si definisce riservato e per scelta frequenta poco eventi, ritrovi e associazioni. Questo non va a svantaggio delle opportunità di carriera?
“Questo è il mio carattere, tengo molto però ai rapporti veri e in questi, anche con la crew, sono molto aperto e collaborativo. Nel nostro ambiente alla fine credo conti soprattutto come sai lavorare e la reputazione che acquisisci. Una delle mie particolarità, che è sempre stata ben vista dall’armatore e che ancora oggi cerco di coltivare, è quella di accontentarlo, sempre nei limiti della sicurezza, uscendo in mare pur in condizioni poco favorevoli nelle quali magari altri preferiscono dire subito no, cercando mete alternative meglio percorribili. Credo sia giusto uscire ogni volta che lo desidera, sempre con la priorità della sicurezza, perché comunque per mantenere quella barca di 35 metri spende 500-600 mila euro l’anno usandola solo tre mesi.”
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