Davide Sassi: “Dalle navi da crociera al timone dei super yacht”
Intervista al comandante di un Amels di 55 metri che ripercorre il suo percorso professionale e affronta diversi temi d’attualità per la categoria
Davide Sassi nasce a Sanremo dove si diploma capitano; inizia la sua carriera su un traghetto della Corsica Ferries come mozzo e da lì, nelle pause che gli consente il lavoro, continua a cercare nuove opportunità che poi trova con le navi passeggeri Princess Cruises. Con la compagnia crocieristica naviga nelle rotte sui Caraibi da Miami diventando allievo ufficiale, poi terzo ufficiale fino a quando, nel 1995, la famiglia gli chiede di rientrare per aiutare i due fratelli più giovani a lanciare un investimento nel settore turistico balneare. Oggi è associato a Italian Yacht Masters e a SUPER YACHT 24 ha affidato il racconto della sua vita professionale.
Comandante è da questa interruzione che la sua carriera sulle navi da crociera prenderà una svolta verso lo yachting. Come mai?
“Quattro anni dopo l’attività dei miei fratelli era ormai avviata e decisi di riprendere il mio lavoro di capitano, ma pensai di provare a entrare nello yachting perché ero alla ricerca di un giusto compromesso tra il mare e il mondo inteso come normale socialità, che mi consentisse di avere una famiglia, di riuscire anche a viverla e frequentare ogni tanto il mondo in cui vivono tutti gli altri.
Mi mancava la connessione con la vita normale perché le navi da crociera sono dei piccoli mondi – dove c’è tutto: dal bar alla palestra, all’ospedale – che vanno per mare e che solo ogni tanto si incontrano con la vita a terra.
Così ho provato l’esperienza dello yachting pensando che tanto avrei sempre potuto tornare sulle navi e invece non l’ho più lasciato perché ho capito che è davvero il giusto compromesso.”
Come è stata la sua prima esperienza nello yachting?
“Ho iniziato come marinaio con una barca a vela classica, poi da lì, avendo già la patente di comandante fino a 3.000 tonnellate, è stato veloce il passaggio da nostromo a primo ufficiale in charter, anche molto impegnativi, e nel 2009 è arrivato il primo comando di un 36 metri. Come primo ufficiale seguivo tutte le operazioni di bordo ed ero responsabile della sicurezza ormai da anni, il passaggio a comandante è stato semplice: al mio lavoro si è aggiunta la parte più burocratica del rapporto con le agenzie di management o l’armatore.”
Fra tutti i compiti che assume il comandante di uno yacht quale considera il più importante?
“Creare un equipaggio che funzioni bene e per arrivare a questo il comandante deve essere capace di capire le persone che lo compongono. Non è così semplice: è una capacità che si acquisisce con il tempo e l’esperienza. Di solito il comandante ha una sua visione e commette l’errore di pensare che tutti gli altri la condividano, o comunque debbano condividerla. Ma non funziona così: è un errore che ho fatto anche io all’inizio e di cui mi sono reso conto.”
E quale è la chiave di volta?
“Vanno creati rapporti molto personali con ciascun membro dell’equipaggio; con ognuno occorre usare parole differenti a seconda della lingua, cultura, età e sensibilità per arrivare alla reciproca reale comprensione. Solo così si riesce a far capire a ogni componente che può rivolgersi al comandante quando ha un problema, si crea la fiducia – che è essenziale – e si riesce a formare un vero gruppo. Importante è anche dimostrare all’equipaggio che si è competenti su ogni aspetto del lavoro, non dare ordini ma consigli e direttive, che in questo modo vengono interpretate come occasioni per imparare o per dare il meglio di sé. E poi: mai peccare di arroganza perché si è arrivati a essere il comandante. Quando cominci a pensare di essere bravo è proprio il momento in cui cominci a sbagliare.”
Sembra che si debba partire quindi da un lavoro su sè stessi…
“Il comandante che riesce a rimanere umile seppure deciso, non è visto come debole, anzi: trasmette un segnale di coraggio e viene apprezzato per la sua umanità dal suo equipaggio, che a quel punto diventa spontaneamente disponibile. E’ una questione di comunicazione, sta al comandante creare un rapporto di fiducia e collaborazione in armonia con lo staff. Parte tutto dal detto ‘happy crew, happy yacht’.”
Qual è il lavoro più difficile e quello più interessante fra quelli che mettono il comandante in relazione con gli armatori?
“Quando il comandante ha una forte autonomia nella gestione ordinaria e straordinaria dell’equipaggio il lavoro è molto più interessante ma anche molto più difficile perchè occorre mettere il piede nelle scarpe di due diversi soggetti: armatore ed equipaggio. Può succedere che l’armatore dia l’incarico di seguire i suoi interessi che non corrispondono con quelli dell’equipaggio; qui dobbiamo mediare con l’obiettivo di non scontentare nessuno. Un tema attuale in questo senso sono le spese per l’equipaggio, che coprono una grande parte del budget annuale di mantenimento dello yacht, che l’armatore solitamente cerca di tagliare e ridurre al minimo convinto che quando la barca non è in stagione ci sia meno bisogno di personale. Questo per il comandante è un vero problema perché se l’equipaggio non viene contrattualizzato a tempo indeterminato è demotivato, mentre con un rapporto duraturo l’equipaggio lavora con soddisfazione e si affeziona alla barca – che per tanto tempo rappresenta la sua casa – arrivando a conoscerla spesso meglio di chiunque altro; per questo cerchiamo di mantenere queste posizioni affidando ai membri dell’equipaggio lavori che normalmente andrebbero a dei contractors. Così facciamo anche risparmiare i nostri armatori.”
Gli equipaggi riescono ad essere formati adeguatamente?
“Molte delle professionalità dell’equipaggio, soprattutto quelle che riguardano gli interni, sono poco ambite e spesso chi si candida vuole solo guadagnare il più possibile in poco tempo e poi fare altro. Quindi è molto difficile avere un equipaggio che si occupa degli interni formato e affiatato. Se poi oltretutto la posizione non è ben remunerata o prevede una stagione sempre più corta si candidano solo persone con poca esperienza perché quelle più competenti cercano posizioni più favorevoli e sicure. Oggi è difficile mantenere alto il livello di servizio e di professionalità a bordo yacht mentre una volta era eccellente e superava addirittura quello degli hotel superlusso.”
La precarietà del lavoro dell’equipaggio in qualche modo è sentita anche dal comandante, per quanto bravo possa essere?
“Il nostro contratto può essere a tempo determinato o indeterminato ma, anche in questo secondo caso, c’è sempre una clausola che prevede l’interruzione con un preavviso minimo di 30 giorni e massimo tre mesi. Lo yacht normalmente rappresenta per l’armatore un lusso al quale può decidere di rinunciare in qualsiasi momento. Siamo tutti sottoposti a grande incertezza salvo nel caso – raro – di lavorare per gli arabi: con le loro grandi e diramate famiglie possiedono decine di yacht. In quel caso è come entrare a lavorare per una compagnia di crociera: se sei un professionista il lavoro è assicurato.”
Qual è stato il percorso della sua carriera ad oggi e quali obiettivi sta perseguendo sotto questo profilo?
“Il mio primo contratto è durato oltre dieci anni e mi sono trovato molto bene, ho lasciato solo perché volevo crescere come dimensioni dell’imbarcazione; sono quindi passato a un 70 metri che operava in charter. Oggi lavoro per un armatore di una barca Amels di 55 metri con cui faremo charter con doppia stagione uscendo quindi anche dal Mediterraneo. Insieme ad un collega, con il quale abbiamo selezionato un equipaggio composto da 11 persone, farò rotazione ogni due mesi: le condizioni di lavoro sono davvero ottime. Il mio obiettivo futuro è quello di comandare uno yacht di dimensione fra i cinquanta e settanta metri con un armatore che voglia fare una crociera worldwide o continuare anche a stare in crociera ovunque senza precludere le crociere classiche, e pronto a esplorare. Non è escluso che il mio attuale armatore possa in futuro prevedere anche questo.”
Una questione piuttosto dibattuta è se l’ingresso delle società di management nella gestione dello yacht sia vantaggiosa per l’armatore oppure se possa rappresentare problemi fra questo e il comandante. Qual è il suo punto di vista?
“Ritengo che la presenza di una società di management che sa lavorare faciliti il tutto perché il comandante può limitarsi a farle presente i lavori da eseguire fornendole magari anche dei preventivi lasciando a questa gli eventuali problemi di budget che possono sorgere con l’armatore. La situazione può diventare difficile nel caso in cui, come comandante, si riscontri una programmazione di spese non ben calibrata. Ho sempre avuto un rapporto diretto con l’armatore e quindi non ho vissuto esperienze in questo senso. Mi farebbe comunque piacere lavorare con le società di management perchè, a prescindere, hanno molto lavoro da offrire e quindi di fronte a un’interruzione di lavoro richiesta dall’armatore la ricollocazione su un altro yacht è molto facilitata.”
Quali sono i problemi che ostacolano una vera sostenibilità nello yachting secondo lei?
“La voglia di sostenibilità e l’impegno da parte degli armatori e degli equipaggi c’è; il problema è che spesso non è praticabile. Faccio un solo esempio fra i tanti che potrei portare: quando ci rechiamo nei porti per scaricare le acque grigie spesso non li troviamo attrezzati; dobbiamo quindi trovare soluzioni alternative non ideali e subire attese. Da quello che alcuni gestori mi hanno riferito i costi per i necessari adeguamenti in banchina sono molto alti, ma soprattutto sono molte le difficoltà per realizzarli: di fatto la catena che inizia dalla produzione di queste attrezzature fino alla loro installazione è molto fragile per tante ragioni e per i tanti enti, spesso non allineati, che devono decidere.”.
CLICCA QUI PER ISCRIVERTI ALLA NEWSLETTER GRATUITA DI SUPER YACHT 24