Irpino: “Costituiremo una nuova associazione di marittimi del diporto”
Il progetto prende il largo per far rinascere un dialogo proattivo con le altre associazioni e con il Ministero delle Infrastrutture e Transporti
Gennaro Irpino è un comandante di yacht che dal 2005 al 2019 è stato anche presidente dell’associazione Marittimi A.Ma.Di – Sezione Campania, e oggi lavora prevalentemente nel settore charter. Gli intensi quindici anni di vita associativa e la sua lunga e ininterrotta attività di comandante hanno sviluppato in lui una profonda conoscenza di tutte le problematiche del settore, che spaziano dai temi tecnici a quelli umani. Di questo parla con SUPER YACHT 24 anticipando anche un’importante iniziativa.
Comandante Irpino, qual è stato il percorso che l’ha portata al timone di uno yacht?
“Sono figlio di un comandante e mi sono diplomato all’istituto nautico. Il mio primo imbarco, a 16 anni come allievo, è stato su un mercantile con rotte verso i porti del Sud Africa. La mia prima esperienza nel diporto, proseguita poi per sette stagioni, l’ho avuta invece lavorando per l’onorevole De Vito: è lì che è nata la mia passione per questo settore, sia per le barche a vela che a motore. In quel periodo d’estate lavoravo per lui e d’inverno sui mercantili. Negli anni ho approfondito le mie conoscenze nel diporto entrando nel 2005 nel Gruppo dei Marittimi del Diporto, l’associazione storica di Santa Margherita Ligure A.Ma.Di, diventando presidente della sua sede distaccata in Campania, incarico che ho mantenuto fino al 2019. Successivamente ho ripreso la mia attività di comandante a pieno ritmo, in particolare nel mondo del charter.”
Perché nella sua attività di comandante preferisce il segmento del charter?
“Il mondo del charter mi appassiona perché per il suo turnover mette gli equipaggi continuamente alla prova. E’ un settore nel quale si deve essere capaci di accogliere i clienti con grande sensibilità, percezione dell’altro, perspicacia e compassione. Questo perché il cliente investe il massimo per la sua vacanza ed è giusto che abbia il massimo in termini di qualità dei servizi che riceve. Per arrivare a questi livelli occorre sviluppare la capacità di entrare in sintonia con le persone; occorre quindi anche un approccio di tipo psicologico.”
Combinare il lavoro attivo di comandante con l’impegno associativo in cosa l’ha aiutata?
“In quegli anni ho lasciato il long range per poter far fronte agli impegni associativi. Ho avuto un’attività intensa: nel lavoro di comandante vivevo le dinamiche che si manifestano a bordo e come responsabile di associazione ho affrontato problematiche dai contenuti umani e tecnici, per le quali ho collaborato cercando di dare una mano alle persone e ai soci. Vivere in queste articolazioni complesse è stato molto formativo e mi ha permesso di raccogliere centinaia di feedback dai marittimi, dagli amministratori di società di charter e dagli armatori privati.
Negli anni, con i tanti collaboratori dei miei equipaggi, si è creato un rapporto di collaborazione e crescita. Questi saranno i temi da approfondire nei prossimi mesi per rispondere alle esigenze del settore e per questo costituiremo una nuova associazione.”
Quali finalità avrà in particolare questa nuova associazione?
“Innanzi tutto quella di ricreare una compattezza di intenti fra le rappresentanze dei marittimi e le autorità. Partendo dal varo delle prime regole avute con il Codice della Navigazione nel 2005 i marittimi si sono appassionati e volevano entrare in possesso di uno titolo professionale italiano. Ma da quel momento in poi in Italia non abbiamo visto un processo aperto, lineare, fra le autorità competenti come il Mit, le associazioni di categoria, quelle sindacali e Confindustria Nautica. Intendo dire che non c’è stata fra queste componenti un’intesa per fare emergere la classe dei marittimi.
Tutt’oggi, ad esempio, esiste l’ostacolo che prevede che uno yacht adibito a noleggio debba avere come minimo un ufficiale di navigazione al comando e per questo titolo minimo esistente in Italia, occorre sostenere l’esame accessibile a chi ha il diploma dell’Istituto Nautico, o altrimenti requisiti di 36 mesi di navigazione in parte compiuta anche su navi da diporto. Esame quindi del tutto uguale a quello che deve fare chi vuole diventare un comandante di navi di grosso cabotaggio non ponendo quindi attenzione alla differenza che c’è fra le dimensioni di uno yacht, anche grande, e un mercantile sicuramente enorme. Il risultato è stato che fino ad oggi un numero elevatissimo di marittimi italiani ha preferito andare in istituti Uk, dove le norme sono più ‘smart’ per ottenere i titoli.”
Quali altre questioni ritiene che siano da affrontare prioritariamente?
“Abbiamo assistito quasi a un’involuzione nel mettere in atto le disposizioni; in una fase in cui avremmo dovuto discutere su decreti e normative ed esprimere nei tavoli tecnici le esigenze della nostra categoria i dialoghi sono stati invece evitati. La stessa problematica c’è stata nelle immatricolazioni degli yacht: gli armatori italiani, anche in questo caso hanno preferito l’estero, in prevalenza l’Inghilterra. Alla stessa stregua vediamo navigare in Italia yacht di piccole e di enormi dimensioni acquistati da privati o società italiane che fanno charter con bandiere straniere. Si è dunque fatto perdere denaro e credibilità al nostro Paese.
Nonostante oggi come cantieri italiani nella costruzione di navi da diporto siamo i più riconosciuti al mondo e che, inoltre, con il Covid siamo passati ad un ancora maggiore utilizzo di yacht, anche in termini di dimensioni – la presenza dei marittimi italiani su queste tipologie di barche è sempre molto ridotta. Viceversa è aumentata la presenza di marittimi provenienti da altre nazioni verso i nostri territori. Quindi anche questo mercato ci sta sfuggendo di mano. E il problema è nella mancanza di una sana, giusta lineare e accessibile formazione in Italia. Questa è la reale situazione italiana.”
Con la recente riforma che modificherà il D.M. 121/2005 sui titoli professionali del diporto ritiene ci siano buone prospettive?
“E’ stato annunciato il titolo di ufficiale di seconda classe – di un gradino inferiore a quello di ufficiale di navigazione – da noi molto atteso perché utile per lavorare nelle società di charter di piccolo cabotaggio con itinerari lungo costa entro le 12 miglia e indicato per i molti marinai idonei a comandare imbarcazioni da diporto. Le società hanno accolto con euforia questa notizia. Resta da capire se effettivamente risponderà alle esigenze. Quello che sembra è che potremmo passare dal vecchio obbligo che prevedeva un insegnamento complicatissimo per guidare mezzi piccoli ad uno che con un esame può consentire di diventare comandante di un 35-45 metri. Attendiamo quindi il decreto e le sue regole attuative.
Quello che occorre a mio parere è davvero un cambio di passo nella collettività per lavorare correttamente sulla materia dei marittimi: dobbiamo incontarci con chi fa le regole per ragionare su quello che serve partendo da quello che abbiamo e quello che possiamo fare.”
Cosa sarà previsto dalla vostra associazione sul tema della formazione?
“L’esperienza maturata mi ha reso consapevole che il lavoro che si svolge a bordo nel diporto non è per tutti. Occorre passione, conoscenza delle lingue, di storia, dei territori, perché nel settore del chartering non esiste una guida esterna perché è il personale a svolgere questa funzione. All’equipaggio quindi si richiede un taglio professionale con un livello culturale adeguato alla clientela. Il nostro è un lavoro di accoglienza di turisti che si trovano, quando arrivano a bordo, in un ambiente completamente nuovo e devono essere ascoltati, guidati, consigliati. Questo manca e questo dobbiamo chiedere a chi di competenza per ottenere una formazione degli equipaggi a questi livelli. Vogliamo quindi sensibilizzare in primis il mondo dell’istruzione che oggi agisce per protocolli vecchi.”
Cosa dovrebbe fare nello specifico l’Istituto Nautico per preparare i giovani a questa carriera?
“Innanzi tutto dovrebbe far conoscere loro il mondo del diporto, cosa che non avviene. Per mia esperienza personale quando sono passato – 35 anni fa – dal mercantile al diporto, ho imparato da solo e sulla mia pelle questo nuovo mondo e le sue esigenze e vedo che tutt’oggi la situazione è identica. Gli istituti dovrebbero accelerare l’inserimento intanto della materia della nautica, spiegare questo mondo e le sue esigenze, ritengo quindi – come associazione – che sia utile andare nelle classi per sensibilizzare i ragazzi a questo tema.
Tra l’altro, mentre dal Nautico escono centinaia e centinaia di allievi le navi diventano sempre più grandi e aumentano gli automatismi su quelle mercantili. Per tutti questi allievi ufficiali che sono predisposti a fare i comandanti si riducono quindi i posti di lavoro. quando invece il mercato della nautica, che non viene neanche preso in considerazione, ha un enorme necessità di personale formato cui offrire grandi opportunità.”
Da chi sarà composta e quando prenderà il via l’attività della vostra associazione?
“Da molti anni faccio questo mestiere e ho avuto con me molti ragazzi che ho visto crescere professionalmente e che rappresentano un capitale umano che non può andare disperso. Per questo stiamo ragionando insieme a loro e ad altri colleghi preparati per dare il nostro contributo in questa società. Vogliamo che si arrivi a una formazione dei marittimi di alto livello in tutti gli aspetti necessari, e in particolare in quello dell’accoglienza. Nei prossimi 2-3 mesi daremo il via alla nostra attività.”
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