Alessandro Orrao, uno dei pochi comandanti italiani al timone di un 72 metri
Da un Mangusta 92 a un Baglietto con Roberto Cavalli fino ad arrivare a un giga yacht. Ma tutto iniziò come Food&Beverage manager
Alessandro Orrao è uno dei pochissimi comandanti italiani al timone di un superyacht di oltre 70 metri. SUPER YACHT 24 lo incontra all’inizio di un nuovo incarico su un 72 metri con il suo equipaggio.
Comandante Orrao, come inizia la sua carriera che oggi la vede fra i pochissimi italiani al comando di un superyacht di oltre 70 metri?
“Provengo come studi dalla ristorazione e il mio primo lavoro, nel 1999, è stato proprio come food & beverage manager in un equipaggio composto da 28 persone su una barca molto prestigiosa di 60 metri. Credo che questa cultura ed esperienza maturata nell’accoglienza sia un mio punto di forza anche oggi. Da questo superyacht mi sono poi spostato sulla sua barca di appoggio: un Mangusta 105 di 32 metri; uno dei primi in quegli anni e da lì mi sono appassionato. Su questa barca l’equipaggio era di 4 persone e in un contesto più piccolo ho iniziato anche altre attività: d’estate un pò di guardia all’ancora e la navigazione con il comandante, d’inverno in sala macchine ad aiutare il direttore nelle manutenzioni. La passione è aumentata, il caso ha voluto che per una particolare esigenza dell’armatore siamo stati fermi un anno e in quel periodo ho seguito dei corsi per far diventare questa passione il mio futuro; così ho conseguito la patente.”
Quando e come è arrivato il primo comando?
“Nel 2004 con uno yacht di piccole dimensioni. Si trattava di un Mangusta 72 con eliche di superficie; l’anno dopo c’è stato il Mangusta 92 voluto dall’armatore, di cui ho seguito la costruzione, e poi tre anni di stagioni. Da quest’inizio sono seguite varie esperienze: nel 2007 ho ricevuto una chiamata da Roberto Cavalli per comandare il suo Baglietto di 41 metri; nei quattro anni con lui ho avuto la possibilità di conoscere il jet set, le modelle, le sfilate, i festival del cinema, personaggi come Jennifer Lopez che ho portato in vacanza per un mese e tanti altri con i quali ho condiviso momenti e foto. Poi per mia scelta accettai un comando su un prestigioso Benetti Vision di 45 metri, con base a Monaco, passando così dall’esperienza dell’idrogetto a quella degli assi elica, cioè della propulsione tradizionale. Da lì, dopo altri 4 anni, ho ritenuto giusto provare l’esperienza del charter: la Ocean Independent di Monaco mi offrì il comando di un Sanlorenzo di 46 metri, lo Skorpion, sul quale sono rimasto per 4 anni fino all’ottobre 2020. Al termine dell’ultimo viaggio charter a novembre il main charter, che era anche manager di un armatore, mi chiamò per affiancarlo nella costruzione di un 70 metri.”
Quindi è in questa fase che arriva il comando del primo 70 metri…
“Si, arrivò attraverso una selezione da affrontare con altri 10 comandanti tutti scelti dall’armatore e tutti con esperienza su barche dai 60 agli 80 metri. Il comando toccò a me, che arrivavo da un 46 metri. Il superyacht era il Polaris di Rossinavi, di cui ho seguito la costruzione negli ultimi 3 mesi e poi il delivery. Abbiamo fatto due stagioni con questa barca, poi è stata venduta nel 2022, è seguita la stagione con il nuovo armatore, ma non ci siamo trovati bene in tanti e siamo sbarcati a dicembre 2022, alla fine della stagione.”
E’ stato facile trovare l’incarico successivo?
“Offerte di lavoro ne ho avute ma per barche più piccole, 50 metri o sotto, che non ho accettato perché volevo capire se l’aver comandato un 70 metri, di Rossinavi, una barca che ha vinto tanti premi nel 2021 al Monaco Yacht Show, era stato un caso oppure no. E così a maggio ho avuto la soddisfazione di essere contattato da un broker molto famoso, che mi ha offerto la barca dove sono adesso. Anche qui ho seguito tutta la fase del delivery con equipaggio, selezioni, ordini, rapporti con il cantiere, fornitori, documenti, custom, agenzie…insomma tutto quello che c’è da fare su una barca di questi volumi e dimensioni.”
Come è cambiato il lavoro del comandante dall’inizio della sua carriera ad oggi?
“E’ completamente cambiato: una volta il lavoro del comandante era solo portare la barca; oggi siamo diventati dei manager e amministratori. Per quello che mi riguarda sono molto ‘up to date’ perché considero la formazione fondamentale, soprattutto quella che aiuta a relazionarsi con le persone a bordo. Avere un equipaggio con diverse lingue e nazionalità, diverse usanze e Dna non è facile e non ci si può assolutamente improvvisare.”
Come deve essere un comandante con il suo equipaggio? Più severo o più comprensivo?
“Sono portato a difendere il mio equipaggio, sono molto empatico, credo fortemente nel rapporto umano e negli anni ne ho visto i benefici. Insegno al mio equipaggio tutto quello che posso, mi piace delegare e responsabilizzare le persone per farle crescere. Credo in questo metodo per creare un valido team.”
C’è differenza nel comandare un grande yacht rispetto a un 50 metri o meno?
“La differenza riguarda soprattutto la figura dell’armatore che da 20 anni a questa parte è cambiata: è sempre più preparato e ha esigenze sempre maggiori. Il suo concetto di base è: ‘posso avere tutto e se non lo ottengo è perchè chi doveva procurarmelo non è stato capace’. Nel charter poi, dove l’armatore cambia ogni settimana e può essere di qualsiasi nazionalità e con esigenze diverse è ancora più difficile. Le difficoltà sono sul tipo di trasferimenti che richiedono, sui ristoranti, sui vizi vari, sugli elicotteri…Ad esempio il transfer con la macchina per andare da un punto all’altro prevede sempre una macchina specifica, con particolari caratteristiche, e naturalmente dentro a disposizione deve esserci solo la loro acqua preferita, e fresca.”
Sembra incredibile che un armatore non riesca a tollerare per una volta la mancanza della sua acqua preferita…
“Direi che da sette-otto anni a questa parte, questa che può sembrare una mancanza relativamente importante, rappresenta invece sempre un problema. E più le barche sono grandi e più è sentita come un problema. Oggi l’armatore vuole avere sulla barca tutto quello che può avere a casa sua.”
Che tipo di stati d’animo si provano a dover far fronte a queste richieste così particolari?
“Ho sempre provato un forte senso del dovere nei confronti dell’armatore; sento di dover riuscire a dare un certo tipo di risposta a chi mi ha dato fiducia, assegnandomi barche di così alto livello. Con l’aumento del prestigio della barca è aumentato anche il mio senso del dovere e di responsabilità. E la voglia di dare sempre qualcosa in più alla persona che mi ha dato questa grande fiducia.”
Come si costruisce l’esperienza professionale perfetta, con il giusto equipaggio?
“Con la serietà professionale. Nel mio caso riconosco di aver avuto un percorso fortunato, ma tutto è arrivato in modo ciclico e per meriti. Per l’equipaggio: credo nel ‘trasmettere la passione’ e nel circondarsi di persone che hanno valori simili ai propri. Non potrei mai stare accanto a chi non rispetta le regole, a chi è confusionario o poco attento.”
Quali rischi si corrono nell’intraprendere un rapporto con un nuovo armatore che si affida a un manager?
“I manager vendono un pacchetto che include il management. Solitamente però questi manager hanno poco a che fare con la vera nautica, che è fatta di problematiche vissute personalmente e quotidianamente e di soluzioni trovate in presenza e su misura. Succede quindi spesso che si creino attriti fra un professionista che tutti i giorni sta sulla barca e un manager che sta in un ufficio a Dubai o a Miami.
Con il 46 metri di Sanlorenzo l’armatore – non so se per fortuna o per altro – delegò me a gestire il tutto e a dare disposizioni anche ai manager, e le cose andarono benissimo. Anche sul 70 metri di Rossinavi l’armatore mi delegò: lavorammo ottimamente fino al momento in cui vendette la barca a un famosissimo gruppo che purtroppo non aveva alcun rispetto per l’equipaggio. Il risultato fu che sbarcammo, perchè non c’era nessuno a difenderci: il nuovo armatore si era affidato a questi manager che non avevano la dedizione di chi vive la barca tutti i giorni. Sulla barca che comando oggi ho la fiducia dell’armatore che mi ha delegato tutte le responsabilità. Il mio segreto è la pragmaticità e la volontà di risolvere i problemi con la presenza e con la partecipazione immediata.”
Ma l’armatore cosa si aspetta davvero dal comandante? Il risparmio?
“Si, ma non perché interessato al puro risparmio di soldi bensì per il valore che riconosce all’impegno del comandante nel fargli ottenere il meglio possibile senza facili sprechi di denaro. All’armatore non sfugge nulla: ogni azione del comandante lo qualifica, o viceversa squalifica, ai suoi occhi. E più il superyacht è grande e più questo discorso è valido perché le spese nel 70 metri sono esponenziali rispetto a un 45 metri”.
C’è differenza fra l’attenzione e la formazione richiesta su uno yacht di medie dimensioni rispetto a uno di 70 metri e oltre?
“Per i grandi superyacht ci vuole una professionalità importante a tutti i livelli. Mia moglie è una Chief Stewardess con oltre 15 anni di esperienza ed è in procinto di iniziare un nuovo lavoro come trainer nelle varie discipline di introduzione al mondo dello yachting rivolto alle nuove generazioni. Le ho consigliato di inserire nell’introduzione del corso una slide che spiegasse che per arrivare a certi livelli in questo settore ci vogliono anni di lavoro. Per arrivare al vertice della professionalità – quella richiesta per coprire ruoli importanti su un superyacht di 70 metri – occorrono circa cinque anni.”
C’è davvero voglia da parte dell’armatore a impegnarsi nei confronti della sostenibilità?
“L’armatore quando è nella sua barca vuole solo divertirsi e non gli interessa di consumare migliaia di litri di carburante, utilizzare dieci moto d’acqua, cibi tutt’altro che a chilometro zero e così via. Siamo noi che lavoriamo per non inquinare eliminando la plastica dagli acquisti, impegnandoci nella raccolta differenziata e nello scarico di tonnellate di acque nere in mare seguendo le regole della Marpol in attesa di avere assistenza a terra con impianti dedicati. Cerchiamo di sprecare molto meno per l’equipaggio, di calibrare il mangiare per ridurre gli sprechi, di riutilizzare il cibo quando possibile nel rispetto delle norme igieniche e conteniamo i consumi di energia elettrica.”
Cosa ne pensa della novità sui titoli per i marittimi italiani?
“Penso che sia un’ottima cosa che ci mette molto più in competizione con il mondo anglosassone che finora è stato avvantaggiato. Ritengo comunque che il mercato lo facciano le skills: se uno ha quelle giuste va avanti. La carriera si fa con il sacrificio e con il lavoro, ma a livello di titolo credo rappresenti un grande vantaggio per i comandanti italiani che fino ad ora sono stati penalizzati dalla nostra legge.”
Cosa dovrebbe essere ancora migliorato nel campo della nautica da diporto a livello normativo?
“Oggi c’è differenza a livello di normativa fra lo yacht commerciale adibito a charter e lo yacht privato: il primo, a prescindere dalle sue dimensioni, è sottoposto a moltissime regole – molte giuste, altre che potrebbero essere migliorate e facilitate con la digitalizzazione – mentre uno yacht privato, di qualsiasi dimensione, non è sottoposto a regole. Andrebbero quindi regolamentati meglio gli aspetti che riguardano lo yacht privato a vantaggio della sicurezza, delle regole di lavoro per la salvaguardia del lavoro in mare relativamente all’ambiente, all’equipaggio e all’armatore, alla sua famigia e al suo bene. A livello internazionale nel mercato privato manca un’inquadratura sulle ore di lavoro e di riposo che invece esiste in quello del charter. Mentre a livello nazionale occorrerebbe unificare i comportamenti delle capitanerie italiane per evitare le attuali interpretazioni delle normative, e poter avere finalmente delle linee guida precise. C’è poi la questione Iva e i diversi trattamenti fra porti del Tirreno e quelli dell’Adriatico. Ma questo è solo un esempio, perché le situazioni di incertezza per ragioni di questo tipo sono tante e siamo noi comandanti a doverci assumere questi rischi a livello di multe giuridiche, amministrative e penali che possono danneggiare anche i nostri titoli.”