Michel Karsenti: “Nel futuro prossimo di Canados materiali compositi e nuovi capannoni”
Intervista al presidente e amministratore delegato dello storico cantiere di Ostia oggi sul mercato con tre linee di superyacht e pronto a espandersi alla foce del Tevere
Michel Karsenti entra nella nautica da ragazzo con la prima esperienza nelle gare offshore americane, che tuttoggi affronta e nelle quali ha ottenuto quattro titoli mondiali. Nel frattempo approda nel settore manutenzioni di barche e grazie a un connaturato spirito di iniziativa e passione per il mare riesce nel tempo a toccare ogni segmento del comparto: dal pioneristico noleggio di yacht fino al diventare editore di un gruppo internazionale di testate sulla nautica. Cultura, esperienza e collegamenti maturati lo portano infine verso la costruzione di yacht, sua vera passione. Da sette anni è proprietario e presidente del cantiere Canados, un’esperienza che racconta in questa intervista a SUPER YACHT 24.
Presidente, cosa la convinse ad acquisire Canados nel 2016?
“Canados era l’unico cantiere in Italia capace di costruire barche di dimensioni contenute con il livello del lusso di un grande yacht e io volevo costruire barche con queste caratteristiche per rispondere a un’esigenza del mercato. Canados, nata dall’unione di maestri falegnami nel 1946, ha la tradizione di costruire yacht di estremo lusso, è nel nostro Dna. Oggi a Ostia nel nostro ufficio tecnico ci sono 12 ingegneri che studiano costantemente sui materiali compositi apportando alla maestria del cantiere il plus della nostra innovazione. Qui viene svolta tutta la lavorazione dello yacht: dalla produzione dell’acciaio inox, ai materiali compositi, alle parti di falegnameria, agli arredi. Realizziamo barche totalmente custom e in modo completamente artigianale grazie al nostro background. E questo è ciò che i nostri clienti vogliono da noi.”
Che aspettative avete nel campo della ricerca sui materiali compositi?
“Quella di raggiungere pesi inferiori rispetto al normale: le ricerche ci hanno portati a produrre barche con materiali che hanno un peso ridotto di quasi l’80% e stiamo studiando materiale composito hi-tech anche per i mobili e ogni altro componente della barca.”
Quali risultati in concreto avete raggiunto su superyacht di vostra produzione?
“Il 143 piedi Oceanic, recentemente finito, ha tutta la sovrastruttura in Kevlar/Aramat invece che in alluminio, ha i pavimenti del ponte sottocoperta in materiale composito in sadwich e in vetroresina sottovuoto che, differentemente dal tipico compensato, è rigido e più leggero con il risultato che non produce alcun rumore nè quando vi si cammina nè quando si è in navigazione; la barca è più veloce e ha un minore consumo. Raggiunge 26 nodi pesando 240 tonnellate a medio carico. In generale si pensa che la barca in acciaio sia più solida, il che è completamente sbagliato. I materiali compositi, a parità di spessore, sono quattro volte più resistenti dell’acciaio. Ciò vuol dire che possiamo fare barche molto più forti di quelle in acciaio e abbiamo velocità molto più alte con consumi ridotti.”
Quali altre innovazioni avete apportato sulle vostre ultime barche?
“Sul modello 143 Oceanic abbiamo addizionato molte caratteristiche tecniche speciali allo scafo: abbiamo posizionato la chiglia sotto la parte la più alta della barca, che va da metà barca fino a prua, per darle maggiore stabilità sia all’ancora che in navigazione; abbiamo ridotto la flottabilità dello scafo a poppa per tenere la barca dritta dato che questa gamma ha sovrastrutture molto avanzate e durante le prove in vasca mostrava problemi di appruamento e, insieme, con la depressione che si crea sotto lo scafo navigando sopra i 20 nodi, abbiamo ottenuto maggiore velocità; abbiamo poi inserito il nostro sistema di tunnel drive delle eliche per ridurre la flottabilità e per ridurre il pescaggio; e infine l’integrazione di tutto questo con il bulbo, che bilancia la flottabilità e riduce il beccheggio della carena. Il periodo per testare l’innovativa integrazione dei quattro sistemi che si completano l’uno con l’altro è stato molto impegnativo.”
Il concetto explorer, che è quello del vostro Oceanic, quando ha iniziato a prendere piede?
“Nel 2010, quando ancora non avevo rilevato il cantiere, era emersa la voglia degli armatori di avere una barca a dislocamento, che fosse più veloce nella navigazione e superare quindi i consueti 10 nodi; il cliente della Canados ama una velocità di 20-22 nodi per velocizzare gli spostamenti. Il nostro obiettivo era quindi quello di avere una barca che potesse navigare a 7-10 nodi consumando pochissimo, ma che fosse in grado, con l’armatore a bordo, di navigare a maggiore velocità, riducendo comunque il consumo di carburante. Da qui è nato il nostro 140 Oceanic che navigando a 7 nodi consuma solo 40 litri/ora.”
Qual è secondo lei il combustibile green per la nautica del futuro prossimo?
“Non credo nell’elettrico soprattutto per i reali pericoli di incendio alle batterie, ma anche per il costo di produzione delle batterie stesse. L’idrogeno, prodotto a bordo della barca, è un progetto interessante di tre grandi aziende come Toyota, Ocean, Total Energie che deve però risolvere il problema dello spazio a bordo che viene dimezzato con l’installazione dell’impianto. Per quanto riguarda invece la sola propulsione a idrogeno c’è il problema della mancanza di una rete di distributori nel Mediterraneo che non verrà superato prima di un decennio. Si parla comunque di soluzioni costose. La realtà è che se si vuole una barca green bisogna fare una barca a vela, in legno, senza vetroresina e senza acciaio.
Stiamo lavorando per fare le nostre barche più leggere e consumare molto meno carburante proprio perché non crediamo che oggi esista una soluzione migliore. Con le nostre attuali tecnologie il nostro 63 piedi pesa 17 tonnellate contro le normali 26-27 a parità di misure e design. Quindi 10 tonnellate in meno che equivalgono a -40% di peso e un -40% di carburante.”
I vostri stabilimenti sono sulla foce del Tevere, quindi in una situazione ideale, senza problemi di fondali e con vaste aree intorno oltre che con l’aeroporto a un passo; avete intenzione di estendervi?
“Il costo dell’immobiliare in quest’area sul Tevere, che è l’unica con sbocchi sull’acqua, è molto alto e ci sono molte restrizioni. Fortunatamente il cantiere è nato qui nel ’46. Nell’arco di 40-50 km ci siamo solo noi e il Cantiere del Mediterraneo e nessuna azienda del settore per eventualmente subappaltare in caso di necessità. Per questo abbiamo una struttura che impiega 160 persone che svolgono tutte le fasi della produzione. Un cantiere con la nostra produzione, che va dalle 12 alle 14 barche l’anno, a Viareggio può funzionare con un organico di 20 persone e subappaltare tutto il resto. Stiamo interessando il demanio per avere le autorizzazioni a costruire nuovi capannoni negli 8 ettari di area che già abbiamo perché l’attuale era adatto alla nostra produzione di 25 anni fa, quando le barche più grandi raggiungevano i 30,5 metri. Oggi abbiamo un 46 metri e tre barche da 30,5 metri in produzione: dobbiamo perciò costruire nuovi edifici per andare avanti e sviluppare il nostro lavoro. E abbiamo un progetto di 54 metri che stiamo studiando per dei nostri clienti: questo riguarderà un secondo step con il demanio.”
Come sta andando l’attività in questa fase?
“Continuiamo a fare consegne, anche la prossima settimana consegniamo un 96 piedi. Abbiamo in produzione circa 12 barche e come ne consegniamo una ne iniziamo un’altra. Il 90% della nostra produzione è già venduta.”
Quale ritiene sarà il trend del prossimo futuro nel mercato dei superyacht?
“Nella parte ovest del Mediterraneo le stringenti regole dell’ancoraggio per la tutela dell’ecosistema condizionano il settore da un paio d’anni. In Costa Azzurra gli yacht sopra i 24 metri non possono mettere l’ancora nei porti, ma solo a 1 miglio offshore. Questo ha creato molta domanda di barche di lusso di dimensioni sotto i 24 metri fuori tutto. Il problema non tocca i superyacht dai 50 metri in su: disponendo di tutta una serie di attrezzature e dispositivi (tender, stabilizzatori, etc.) possono stare all’ancora senza problemi. Cresce inoltre la domanda per le barche veloci.”
E in generale, nel mondo, come vede il trend del settore?
“Ritengo che stiamo andando verso una fase di calma. Negli Stati Uniti il mercato è fermo, e si sta calmando anche in Europa. Questo è anche dovuto al rialzo dei tassi di interesse bancari, oggi al 7-7,5%.”
Come pensate di far fronte a questo prossimo calo?
“Stiamo guardando ad altri mercati. Pensiamo alla Turchia perché ha un’economia in forte crescita e una cultura sul diporto molto diffusa; dobbiamo valutare se vendere direttamente i Canados a Istanbul o avere qui un ufficio che controlla il mercato turco con alcuni dealer. Anche nei Caraibi, dove le regole sono molto più semplici, dovremo scegliere se avere solo un dealer come abbiamo già a Saint Barth, oppure aprire un nostro ufficio. Anche in Costa Azzurra vorremmo aprire un ufficio di supporto e assistenza al dealer che abbiamo in Francia.”
E nei Paesi arabi?
“Il Saudi Arabia con questo nuovo yacht club che sta realizzando Luca Dini per conto del governo locale, porto di accesso al Mar Rosso, credo abbia un potenziale molto forte che si svilupperà sicuramente nei prossimi 10 anni; anche qui vogliamo avere un dealer che ci rappresenti. Dal lato produzione invece siamo e restiamo italiani.”
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