Il refit italiano si impone grazie (soprattutto) alla flessibilità
Definitivamente colmato il gap qualitativo coi concorrenti europei, i nostri cantieri devono migliorare solo nella promozione, meglio se comune attraverso un’azione collettiva all’estero
Genova – Non esistono più differenze dal punto di vista qualitativo fra i lavori di refit effettuati su uno yacht in Italia piuttosto che in altri paesi europei, anzi ormai siamo noi italiani che talvolta abbiamo qualcosa da insegnare agli altri. E’ un cambiamento rilevante, già emerso e sottolineato nel mercato delle nuove costruzioni ma che si è ormai affermato con decisione anche nell’industria del refit. I cantieri navali nostrani devono però ancora migliorare in alcuni aspetti, come la modalità di presentazione delle offerte e la promozione, per fare un salto di qualità ulteriore e definitivo: questo consentirebbe ai player italiani di sfruttare al meglio le (forse irripetibili) occasioni che offre il periodo storico attuale, con la flotta mondiale ai massimi di sempre dal punto di vista numerico, e soprattutto in certo (lo dicono le commesse già siglate per le nuove costruzioni) e progressivo aumento negli anni a venire. La carta vincente dei cantieri italiani, oltre alla capacità di completare lavori anche di grande complessità in modo tecnicamente perfetto, è senza dubbio la flessibilità, che consente di gestire al meglio imprevisti, cambiamenti di progetto “in corsa” e anche emergenze che sono la norma nel mondo del refit, specie per yacht di grandi dimensioni. Infrastrutture (leggi marina adeguati) e formazione (di manodopera specializzata, comandanti ed equipaggi), restano poi fattori chiave su cui lavorare per accelerare lo sviluppo di questa nicchia della industry nautica molto frizzante e stimolante, per le capacità che richiede.
Sono queste le principali indicazioni emerse durante il secondo, vivacissimo forum di SUPER YACHT 24 intitolato “Il refit di super yacht in Italia: un’eccellenza da difendere” svoltosi al Marina Genova durante la prima giornata dell’evento SeaYou.
Moderato dal direttore di SUPER YACHT 24 Nicola Capuzzo con la partecipazione di Lorenzo Pollicardo, Technical and environmental director dell’associazione europea SYBass (Superyacht builders association), il forum ha messo a confronto praticamente tutti i maggiori rappresentanti del segmento del refit in Italia di fronte a un attento pubblico di operatori del settore, comandanti, broker, yacht manager, owner’s representative, assicuratori e legali.
Il “padrone di casa” Giuseppe Pappalardo, amministratore delegato di Marina Genova, ha ricordato gli esordi non semplici della struttura di Sestri Ponente, inaugurata nel 2007, e l’incapacità di fare rete tra gestori di porti e altri operatori della nautica, oggi quasi del tutto superata anche grazie alla costituzione dell’associazione Genova for Yachting, che raggruppa quasi sessanta soci e si interfaccia in modo efficace con le istituzioni per rappresentare le istanze della categoria. Pappalardo ha affermato come, a dispetto di quanto pensano alcuni, marina e cantieri di refit offrano servizi complementari fra loro e che la crescita complessiva del settore passa per forza da una collaborazione sempre più stretta fra questi soggetti: “Il ciclo è virtuoso, gli yacht anche di grandi dimensioni oggi si fermano da noi prima o dopo l’effettuazione dei lavori di refit nei cantieri vicini, con loro ovviamente anche comandanti ed equipaggi e i numeri aumentano per tutti”.
Stefano Pagani Isnardi, responsabile del centro studi di Confindustria Nautica, ha aiutato a inquadrare numericamente il settore del refit, che oggi vale circa il 10% dei 3,73 miliardi di fatturato della nautica, in cui l’Italia primeggia al livello mondiale specie nell’alto di gamma: i nostri cantieri di nuova costruzione infatti contano per circa il 50% del numero degli ordini di yacht sopra i 24 metri.
Proprio il presidente di Genova for Yachting, Giovanni Costaguta, ha ripercorso la rapida crescita dell’associazione, nata nel 2017, che ha raddoppiato il numero di soci in poco più di cinque anni e oggi “vale” 340 milioni di fatturato e 1.980 occupati, con una forte ricaduta positiva sul territorio che eventi eccezionali come il Covid e la guerra in Ucraina, con la conseguente “fuga” degli armatori russi, hanno solo rallentato.
“Siamo stati danneggiati di più dalla nota questione del divieto di permanenza per i marittimi extra Ue per periodi superiori ai 90 giorni, che ha sicuramente favorito i concorrenti francesi e spagnoli” ha ricordato Costaguta, che ha poi insistito sulla necessità per le aziende di avere più certezza su infrastrutture e nuovi spazi a disposizione e anche sull’opportunità di favorire il ricambio generazionale di manodopera specializzata, oggi ancora in sofferenza. A proposito di formazione Costaguta ha rivelato il concepimento di una nuova scuola del mare e nel frattempo il primo ‘Career day’ in programma a maggio.
Schietto e diretto come sempre Vincenzo Poerio, amministratore delegato di Tankoa Yachts, che ha invocato una maggiore attenzione da parte delle istituzioni per la cantieristica, settore in grado di generare occupazione con un moltiplicatore unico nel panorama industriale: “Qui nelle aree vicine dell’acciaieria ex Ilva di Cornigliano lavorano solo 100 persone su una superficie 1 milione di mq. Nessuno fa veri e propri piani industriali a livello centrale, in Italia ci sono tantissimi spazi non utilizzati o sottoutilizzati”. Poerio ha poi insistito sull’importanza del ruolo degli ITS sul fronte della formazione, unico soggetto in grado di mettere in contatto i giovani studenti con le aziende e garantire l’adeguata qualificazione di quelle figure professionali di medio livello che oggi mancano un po’ in tutto il paese. Dal numero uno di Tankoa è stato anche rinnovato l’appello a una maggiore cooperazione fra cantieri per fare fronte comune tra italiani di fronte alla concorrenza estera.
Pollicardo dal suo osservatorio di Sybass ha affermato come l’Italia sia stato l’ultimo paese ad aver sofferto della recente crisi e il primo a esserne uscita, fattore “non casuale” e indice della solidità e resilienza della nostra industria nautica. “Sul fronte dell’attenzione alla sostenibilità, e soprattutto della capacità di intenderla come un’opportunità per la cantieristica e non un obbligo, noi invece siamo arrivati dopo”, ha rimarcato, avvertendo i player italiani anche sulla necessità di venire sempre più incontro alle crescenti richieste degli armatori, specie di nuova generazione, in materia di tutela ambientale.
Interessante l’esperienza diretta portata dal comandante Gian Paolo Abis, project manager e owner’s representative di un progetto di refit di un megayacht di 40 metri in corso presso il cantiere Amico & Co. a Genova. Quest’ultimo è stato scelto al termine di un processo di selezione che ha coinvolto oltre 20 cantieri, di cui cinque americani, in quanto la barca si trovava negli Stati Uniti. “Per la nostra barca, che era da sottoporre a un refit completo e radicale, serviva una struttura ben organizzata ma anche flessibile” ha raccontato. “La qualità che i cantieri italiani possono garantire ormai è nota e consolidata, i concorrenti stranieri sono forse più aggressivi e sanno presentare meglio la propria offerta dal punto di vista commerciale. Quelli del Nord Europa in particolare insistono molto sulla rigorosa time line dei progetti, su cui sono meticolosi, ma sono carenti dal punto di vista della flessibilità, che invece è tipica del refit perché richiede una forte personalizzazione e capacità di adattamento anche a progetto approvato e avviato: i gusti degli armatori cambiano, e anche velocemente, e quasi tutti non amano sentirsi dire di no” ha evidenziato molto chiaramente Abis.
In rappresentanza del “vincitore” di questa commessa, Daniele Di Giampaolo, ha ribadito il posizionamento dei cantieri italiani nel ranking mondiale, ormai ai vertici anche nel refit. ll direttore commerciale di Amico & Co. – che peraltro collabora in altre forme con alcuni cantieri esteri – ha affermato come ormai la concorrenza non sia solo una questione di prezzo: “Noi stessi non siamo considerati ‘cheap’ ma abbiamo fatto numerosi investimenti soprattutto nel know how interno, che ora ci ripagano: carpenteria, falegnameria. ecc. sono lavorazioni che eseguiamo in house, è la capacità progettuale che oggi fa la differenza” ha concluso Di Giampaolo, scettico invece sull’importanza del “green” nel retrofit, perlomeno a breve termine.
Il compito che Paolo Vitelli (gruppo Azimut Benetti) ha invece affidato a Giorgio Casareto, è stato chiaro fin da subito: far diventare Lusben il primo cantiere di refit in Italia. Il general manager, storico uomo di fiducia della famiglia torinese, sta guidando l’azienda verso la chiusura del primo dei quattro anni dell’ambizioso piano di sviluppo di Lusben, che prevede a compimento il raddoppio dei volumi, e finora tutto sta andando come da attese: “Stiamo ampliando il sito produttivo di Livorno e a settembre potremo contare su 10 mila mq aggiuntivi per la nuova stagione. Noi siamo attrezzati anche per gigayacht, potendo contare su un bacino galleggiante di 180 metri di lunghezza e da 18 mila tonnellate ma per quella tipologia di barche l’infrastruttura non è l’unico fattore. Credo che con i colleghi italiani dovremmo proporre tutti insieme un nostro modello di cantieristica, sugli aspetti organizzativi manchiamo un po’, siamo più abili a gestire gli imprevisti”. Casareto, che è anche responsabile della Marina di Varazze, crede fortemente nella sinergia fra porti turistici e cantieri di refit: “Il mercato complessivo è in crescita, si può lavorare tutti insieme”. Da lui è arrivata anche la proposta di un’azione di marketing e di promozione collettiva da parte della cantieristica italiana del refit per portare a casa maggiori risultati visto che nei prossimi anni il lavoro dovrebbe essere abbondante.
Non sono mancate le critiche, dirette principalmente alle istituzioni, nell’intervento di Alfonso Postorino, direttore del cantiere Rossini di Pesaro, eccellenza del refit italiano ma anche unica realtà di un certo rilievo in Adriatico: “Le Marche sono un hub di riferimento per la nautica fin dagli anni Settanta, da noi operano molti cantieri importanti di nuove costruzioni e mi dispiace vedere che poi quasi nessuna delle barche che produciamo si ferma in Italia. Purtroppo mancano porti e ormeggi, se in Liguria e Toscana l’offerta è adeguata man mano che si scende dal Tirreno la situazione peggiora e in tutto l’Adriatico, parliamo di 1.000 km di costa, manca una vera marina per i megayacht come invece ha il Montenegro”. Postorino ha ricordato la bocciatura “a priori” del progetto per realizzarne una a Civitanova Marche, mentre ora di un’idea simile si sta discutendo a Valona in Albania, e ha concluso notando come siano ancora pochi gli yacht con equipaggi italiani, altro elemento su cui è necessario intervenire per non perdere occasioni preziose per il nostro paese, “che già deve scontare il fatto che quasi tutte le società di yacht management abbiano sede in Costa Azzurra”. Avere un maggior numero di comandanti e di equipaggi italiani significherebbe assicurarsi lo stanziamento lungo le nostre coste di molte più navi da diporto in bassa stagione.
Effiace anche l’intervento di Federica Lunardi del cantiere viareggino Giangrasso, realtà che è cresciuta molto negli ultimi anni tanto che ora si appresta a entrare anche nel segmento delle nuove costruzioni: “Ci siamo sviluppati molto investendo soprattutto nella formazione del personale, oggi concentriamo in house molte funzioni chiave. La progettazione a tutto tondo e la manodopera sono tutte nostre, questo ci consente di ridurre i tempi di raggiungimento degli obiettivi”. L’estrazione molto tecnica del cantiere (il fondatore Bartolomeo Giangrasso è ingegnere navale ed è stato direttore di macchina) si riflette anche nel forte coinvolgimento delle maestranze e l’alto livello delle lavorazioni effettuate, su yacht sempre più importanti, ne è una conferma.
In chiusura Susanna Corsagni di Seamotion ha illustrato il bel progetto di refit di un sailing yacht di 48 metri del 1993 di Perini Navi, affidato al cantiere Lusben e seguito passo passo dal comandante Roberto Sanna: la barca, totalmente rinnovata, dovrà affrontare un “giro del mondo” col suo armatore che durerà tra i 3 e i 5 anni, con la difficoltà aggiuntiva di cambiare classificazione da uso solo privato ad (anche) commerciale, dal momento che verrà charterizzata nelle pause previste dal tour. Un intervento importante che richiederà diversi mesi di sosta in cantiere.
Gli aspetti legali del refit sono stati infine affrontati dall’avvocato Cecilia Vernetti, dello studio Camera Vernetti, con particolare attenzione al delicato aspetto dei “change order”, vale a dire le modifiche ai progetti concordati inizialmente che rappresentano i momenti potenzialmente più critici nel rapporto tra committente e cantiere durante una commessa. Per la gestione di queste situazioni i cantieri italiani fanno ricorso per lo più a risorse interne, senza interrompere le lavorazioni, anche se poi fanno fatica a produrre la rendicontazione successiva, hanno commentato alcuni dei presenti, generando potenziali rischi che una regolamentazione ancora lacunosa non aiuta ad allontanare.
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