Restrizioni ai marittimi extra-Ue in Italia: il contributo di avv. Alessandra Macchi (Deloitte Legal)
Ad avviso di chi scrive esistono argomenti seri per ritenere che le indicazioni provenienti dalla recente prassi non siano obbligate alla luce della rilevante normativa internazionale e unionale, né imposte dalla sentenza della Corte di Giustizia.
Contributo a cura di avv. Alessandra Macchi *
* Deloitte Legal
Ingresso e uscita di lavoratori marittimi cittadini di paesi terzi dall’area Schengen.
Dalla sentenza della Corte di Giustizia del 2020 al visto d’ingresso per lavoro introdotto dal legislatore italiano nel 2022.
Nell’estate 2021, su indicazione della Direzione Centrale dell’Immigrazione e della Polizia delle Frontiere, a partire da Genova, i Comandi territoriali hanno via via disposto che le operazioni di verifica di frontiera con la relativa apposizione dei timbri in uscita sui documenti dei marittimi di paesi terzi ai sensi dell’art. 11.1 del Regolamento (UE) n. 2016/399 (“Codice frontiere Schengen”) devono essere effettuate quando il comandante della nave su cui i marittimi sono imbarcati informa le autorità nazionali dell’imminente partenza della nave stessa verso porti extra-Schengen.
Dette indicazioni hanno modificato la prassi adottata in precedenza dalle autorità competenti, in forza della quale il timbro di uscita sui documenti dei marittimi extra-UE era generalmente apposto al momento dell’imbarco a bordo nave.
La nuova prassi è stata espressamente adottata sulla base della decisione del 5.2.2020 della Corte di Giustizia nella causa C-341/2018, nella quale la Corte ha affermato che l’art. 11 del Codice frontiere Schengen “dev’essere interpretato nel senso che, quando un marittimo, cittadino di un paese terzo, si imbarca su una nave ormeggiata da lungo tempo in un porto marittimo di uno Stato che fa parte dello spazio Schengen, al fine di effettuarvi un lavoro a bordo, prima di abbandonare tale porto su detta nave, un timbro di uscita dev’essere apposto sui documenti di viaggio di questo marittimo, quando la sua apposizione è prevista dal citato codice, non al momento dell’imbarco del medesimo, bensì quando il capitano della nave in questione informa le competenti autorità nazionali della partenza imminente di detta nave”.
La questione è rilevante perché a norma dell’art. 6 del Codice frontiere Schengen, la durata massima del soggiorno di cittadini extra-UE in territorio Schengen è di 90 giorni su un periodo di 180 giorni (fatta salva l’ipotesi in cui questi ultimi dispongano di visti di lunga durata).
A seguito della prassi introdotta, dunque, tutto il tempo trascorso dal marittimo extra-UE a bordo della nave armata e ormeggiata è rilevante ai fini del computo della durata del suo soggiorno in territorio Schengen: ciò determina un notevole impatto in ambito nautico, dove è molto frequente l’effettuazione di lunghi periodi di sosta in un porto da parte della nave, coi marittimi che continuano a svolgere il proprio lavoro a bordo. Ciò vale ad esempio nel periodo autunnale e invernale, per effettuare anche interventi manutentivi.
In questa situazione, la prassi introdotta produce due conseguenze: da un lato, le società armatrici (di navi in cantiere, di navi che fanno charter, ecc.) che scalano un porto sono obbligate a procedere a un turn-over dei marittimi extra-UE imbarcati ogni 90 giorni, con aggravi di costi e difficoltà nel reperire personale disponibile; dall’altro lato, i marittimi provenienti da paesi terzi non via mare versano nella condizione di vedere drasticamente ridotta la durata dei propri periodi di arruolamento a bordo nave, di perdere opportunità di impiego ovvero di subire un trattamento differenziato rispetto ad altri marittimi per il semplice fatto di essere arruolati e di svolgere la propria attività lavorativa a bordo di una nave che sosta a lungo in un porto.
Ad avviso di chi scrive, esistono argomenti seri per ritenere che le indicazioni provenienti dalla recente prassi non siano obbligate alla luce della rilevante normativa internazionale e unionale, né imposte dalla sentenza della Corte di Giustizia.
Fermo restando che le sentenze interpretative rese dalla Corte di Giustizia hanno portata vincolante erga omnes, detta interpretazione è sempre resa rispetto a una fattispecie specifica e concreta, come illustrata dal giudice nazionale, la cui disamina è imprescindibile per cogliere la portata e l’estensione di quanto statuito dalla Corte.
Venendo al caso C-341/18, la fattispecie concreta riguardava (a) l’arrivo di marittimi di paesi terzi in territorio UE non via mare, (b) il loro imbarco in porto su nave oggetto di ormeggio di lunga durata, e (c) la ripartenza di detti lavoratori, tempo dopo. In tale contesto, “non era precisata la data in cui la nave in questione avrebbe effettivamente abbandonato [il] porto e, pertanto, lo spazio Schengen”, tanto che non poteva escludersi la permanenza in porto della nave a tempo indeterminato.
Con la propria pronuncia, la Corte di Giustizia ha evidentemente inteso evitare possibili abusi delle previsioni del Codice frontiere Schengen, nonché il soggiorno illimitato e incontrollato di lavoratori marittimi di paesi terzi all’interno dell’Unione.
Se così è, sembrano sussistere spazi per un’interpretazione in forza della quale, laddove la data di partenza del marittimo e della nave sia definita e comunicata alla Polizia di Frontiera, la prassi da ultimo introdotta non debba trovare applicazione, proprio sul presupposto che, grazie alla preventiva programmazione della durata della permanenza del marittimo in territorio Schengen, l’uscita dello stesso dal territorio è già individuata ex ante.
La soluzione proposta è peraltro coerente con le convenzioni internazionali vigenti in materia, ratificate dall’Italia e dagli altri Stati membri, come la Convenzione IMO del 1978, la Convenzione ILO sul lavoro marittimo del 2006 e sui documenti d’identità dei marittimi del 1958/2003, la Convenzione di Londra sulla facilitazione del traffico marittimo internazionale del 1965, e con altre disposizioni di diritto unionale, come l’art. 11.3 del Codice frontiere Schengen che prevede un’esenzione dall’apposizione dei timbri in ingresso e in uscita sui documenti di viaggio per i “marittimi che soggiornano nel territorio di uno Stato membro soltanto per la durata dello scalo della nave e nella zona del porto di scalo”, le quali denotato tutte un favor per la circolazione dei marittimi.
In secondo luogo, l’indicazione di alcuni Comandi territoriali di apporre il timbro di uscita subordinatamente alla “partenza imminente… verso porti extra-Schengen” non appare conforme a quanto stabilito dalla Corte di Giustizia, che richiede unicamente che la nave parta verso un luogo al di fuori dello spazio Schengen, a tal fine essendo sufficiente l’uscita dal mare territoriale.
La questione dell’ingresso e dell’uscita dal territorio Schengen dei marittimi extra-UE è stata oggetto di dibattito negli ultimi mesi, tanto che, da ultimo, con l’articolo 13-ter, comma 1, del Decreto Legge n. 21 del 2022, convertito, con modificazioni, dalla Legge n. 51 del 2022, è stato modificato l’articolo 27 del Testo Unico in materia di immigrazione con l’aggiunta del comma 1-septies, che stabilisce che i lavoratori marittimi chiamati per l’imbarco su navi, anche battenti bandiera di uno Stato non appartenente all’Unione europea, ormeggiate in porti italiani, sono autorizzati a svolgere attività lavorativa a bordo, previa acquisizione del visto di ingresso per lavoro per il periodo necessario allo svolgimento della medesima attività lavorativa (non superiore ad un anno) e senza che sia richiesto il nulla osta al lavoro.
Il legislatore italiano ha dunque previsto per i marittimi extra-UE la possibilità di ottenere un visto per motivi di lavoro. Si tratta di una soluzione che – senza, per il momento, incidere sulla prassi adottata dalla Polizia di Frontiera – può consentire ai lavoratori di rimanere su navi ormeggiate in porti dell’area Schengen per un periodo superiore a 90 giorni. Occorrerà verificare, in fase applicativa, se le tempistiche connesse alle procedure di ottenimento del visto e le modalità attuative previste per il rilascio siano compatibili con le esigenze di avvicendamento degli equipaggi che, talvolta, possono sorgere repentinamente (per fruizione di permessi, per malattia, per infortunio, ecc.).
Detto questo, seguendo il principio per cui una distorsione andrebbe rimossa e non corretta con un’altra misura, potrebbe essere auspicabile che si creino le condizioni per una lettura della vicenda da parte delle autorità nazionali maggiormente in linea con lo status dei marittimi come previsto a livello internazionale (cui certamente il diritto UE si conforma), ovvero provare a riportare all’attenzione dei Giudici la vicenda, che genera gravi danni al comparto del diporto, dei cantieri e delle marine.
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