L’ing. Arrabito si racconta fra passato e un futuro fatto di minori velocità nello yachting
Il fondatore di Arrabito Naval Architects analizza il settore della progettazione e dei calcoli per la costruzione di superyacht dall’alto dei suoi quasi 3.000 scafi dai 32 ai 160 metri firmati
Livorno – Il fascino a tutto tondo della grande nautica inizia con la progettazione: a rendere partecipe SUPER YACHT 24 di questa verità con un’intervista esclusiva è l’ingegnere navale Giovanni Arrabito, fondatore nel 1980 della Arrabito Naval Architects, nello studio livornese dove insieme al figlio Giuseppe, ingegnere in architettura navale, compone uno staff di sette professionisti estremamente qualificati che lavorano per importanti cantieri.
In 40 anni di attività con quali cantieri avete lavorato?
“Davvero con molti. Collaboriamo in esclusiva da più di 10 anni con Rossinavi, un cantiere di nicchia diventato in poco tempo famoso in tutto il mercato internazionale grazie all’altissima qualità del prodotto.
Fra le nostre collaborazioni più lunghe di questo tipo c’è stata quella storicA e prestigiosa con Cantieri di Pisa, con il quale peraltro continueremo a lavorare per quanto riguarda l’architettura navale grazie alla sua ripresa di attività con il nuovo assetto proprietario; sempre in Italia un altro cantiere fra gli altri è Riva, mentre all’estero abbiamo lavorato con il Destiny Yachts a Fort Lauderdale, il De Birs Yachts a Alessadria d’Egitto e con altri ancora negli Emirati Arabi e in Argentina.
Quasi 3.000 scafi dai 32 ai 160 metri firmati Arrabito Naval Architects stanno navigando in tutto il mondo.”
Come è cambiato negli anni il vostro lavoro di architettura navale?
“Il passaggio totale dal disegno a mano con il tecnigrafo al digitale avvenuto 10-15 anni fa ha cambiato moltissimo il nostro lavoro. I sofisticati strumenti digitali per la grafica e anche per l’automazione del calcolo negli anni hanno continuato a evolversi permettendoci di lavorare non solo con grande velocità – potendo così sviluppare molto gli studi e quindi la qualità del prodotto -, ma anche di elaborare cose molto complesse, sia dal punto di vista del calcolo che da quello idrodinamico; cose che prima non era possibile da calcolare.”
Quali nello specifico sono state le chiavi di volta di questo avanzamento?
“Prima del digitale l’applicazione delle formule di tipo semi-empirico scaturite dagli studi di idrodinamica pubblicati a livello mondiale, che erano un buon appoggio per un primo approccio del progetto ma che dovevano – dato l’enorme investimento che rappresenta una nave – essere seguite da ricerche sperimentali presso le vasche navali, oggi con l’avanzamento digitale si continuano a eseguire ma solo come stadio finale di un processo che si è inserito prima e che è quindi diventato quasi competitivo con la vasca stessa. Questo processo è l’idrodinamica numerica, un ramo scientifico molto sviluppato di calcolo.
Parallelamente all’idrodinamica numerica si è sviluppata la modalità del calcolo strutturale degli ‘elementi finiti’ che permette risultati incredibili: è una tecnica di calcolo strutturale che consente di effettuare calcoli inimmaginabili. Tutto questo ha portato alla realizzazione di strutture più prestanti e più leggere senza perdere in robustezza. E la leggerezza è importante per la velocità di queste imbarcazioni.”
Cosa chiedono gli armatori al loro architetto navale?
“Appunto: velocità in molti casi; in questa fase sta emergendo la richiesta dei profili alari, i ‘foil’, che possono essere applicati a condizione che l’imbarcazione sia più leggera. Anche noi stiamo cominciando ad applicarli, ma per le appendici più piccole, al massimo di 30-35 metri.
Per raggiungere la leggerezza in sicurezza con altre dimensioni le navi possono essere costituite da fibra di carbonio oppure da alluminio e la tecnica del calcolo degli elementi finiti è assolutamente indispensabile in questi casi. Una delle barche che abbiamo progettato di 63 metri alle prove ha raggiunto 33 nodi: una bella velocità; abbiamo fatto studi molto approfonditi per darle leggerezza e renderla contemporaneamente robusta, è stato contenuto il suo dislocamento per permettere quelle prestazioni e di ogni pezzo che la costituisce abbiamo rilevato esattamente con i calcoli degli elementi finiti le sollecitazioni che aveva.”
Dal vostro lavoro quale tendenza di tipo di yacht emerge e che tipo di orizzonte prevedete nel prossimo futuro?
“L’80% del nostro lavoro è rivolto a yacht dai 50 agli 80 metri e finché le cose dal lato geopolitico sono state ‘tranquille’ c’è stato un mercato mondiale interessante che non ci ha mai fatto stare fermi. La fascia dimensionale più piccola del settore è più soggetta a situazioni di mercato locale o continentale. I mega yacht sono invece acquistati da americani, arabi e da tanti russi; al momento non sappiamo prevedere cosa succederà ma crediamo sia possibile un periodo di sosta.”
Quanto tempo occorre per progettare l’architettura navale di un grande yacht?
“Malgrado i sistemi digitali a disposizione progettare una nave significa almeno 5/7.000 ore di lavoro; la nostra capacità produttiva è quindi di tre progetti l’anno.”
Cosa ne pensa della prora in verticale che vediamo sempre più frequentemente sui nuovi yacht?
“E’ un ritorno al passato e credo si tratti di una moda: a inizio ‘900 le navi avevano questo tipo di prora facile da costruire. La nave con la prora verticale a parità di lunghezza totale rispetto a una nave con la prora inclinata ha maggiore lunghezza al galleggiamento, e per l’idrodinamica quello che conta è la lunghezza del galleggiamento, non quella fuori tutta. Una prora verticale quando il mare è di prora, specialmente se la nave ha un minimo di velocità, mettiamo 5 nodi, presenta il problema dell’acqua che va in coperta; per superare il problema è stata studiata la prora sporgente che, fungendo da tetto, non permette di far arrivare l’acqua in coperta. La prora sporgente è quindi la vera evoluzione, un progresso tecnico che andava incontro all’esigenza di vivere al massimo la barca. Anche se non credo che la prora verticale durerà a lungo, è vero che oggi molte barche sono così e noi ci lavoriamo.”
Lei è membro della Society of Naval Architects and Marine Engineers e dell’inglese Royal Institution of Naval Architects, due associazioni molto importanti nella ricerca: quanto conta questo aspetto per la Arrabito Naval Architects?
“Molto; siamo specializzati nella progettazione delle carene, un segmento al quale diamo molta importanza e nel quale facciamo ricerca, commisurata alle nostre risorse e quasi sempre indotta dalla necessità di risolvere un problema particolare, ricerca che comunque poi estendiamo e pubblichiamo. In questa fase ad esempio abbiamo introdotto nelle carene semidislocanti degli elementi formali geometrici che danno dei vantaggi non indifferenti in termini di riduzione della resistenza al moto.
Un nostro studio di carena particolare e innovativa pubblicato in modo molto ampio sulla rivista dell’Ordine degli Ingegneri alcuni anni fa riguarda la carena “piercer”. Lo studio riguardava una barca di 70 metri con una nostra carena innovativa con prora a lama per un nostro cliente molto abbiente e altrettanto aperto alla ricerca; grazie a lui abbiamo fatto tantissime prove per questo tipo di carena nella vasca di Gothemburg, in Svezia. Non avendola brevettata, perché siamo ricercatori e crediamo nella condivisione, la carena è stata molto copiata e, paradossalmente, qualcuno che inizialmente l’aveva denigrata ne ha poi fatto il proprio cavallo di battaglia. E’ nella ricerca del cantiere che doveva costruire questa barca che siamo entrati in contatto con Rossinavi.”
Cosa si aspetta dal progresso della ricerca navale?
“Mi aspetto – come minimo da venti anni – che arrivi il momento in cui mettere su una barca di grandi dimensioni 10.000 cavalli di potenza per il consumo che ne consegue sia considerato poco etico. Ora abbiamo il duplice problema dell’energia e dell’inquinamento, che possiamo solo cercare di non aumentare. Prevedo in futuro un ridimensionamento delle velocità delle barche e soprattutto la trasformazione del concetto dell’andare per mare nell’andare a una gita davvero confortevole, non a un raid o a una corsa. Oggi vedo che, fra gli armatori più accorti, di fronte al dilemma se privilegiare velocità o comfort molti scelgono quest’ultimo.”
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