“In Italia ogni porto è un feudo diverso per un superyacht”
Intervista al com.te Gabriele Carniglia che affronta vari temi d’attualità: dalla formazione alle competenze, fino ai salari, alle innovazioni proposte dai cantieri, ai nuovi armatori e alle nuove generazioni
Continua il viaggio di SUPER YACHT 24 fra i comandanti del diporto, una categoria importante ma per certi versi poco considerata. Se in un precedente articolo avevamo posto l’accento sulla riduzione dei compensi per comandanti ed equipaggi, questa volta parliamo soprattutto di normative, tecnologie e ambiente.
A discuterne è il comandante Gabriele Carniglia, ligure, nella nautica “sin da quando avevo 13 anni” dice, e al comando di uno superyacht di 40 metri da oltre quindici (attualmente è al timone di un m/y RJ di Cantiere delle Marche). Carniglia lavora con lo stesso armatore da molto tempo e lo ha anche seguito nelle fasi di costruzione di sei degli yacht su cui ha poi navigato, in tutto il Mediterraneo.
Comandante Carniglia, è d’accordo sul fatto che i vostri stipendi mediamente stanno scendendo?
“E’ vero, inutile nasconderlo, è un fenomeno in atto sul mercato. Ed è un peccato perché questo probabilmente era l’anno giusto per lasciarsi alle spalle definitivamente il Covid e tutto quello che ha comportato per la nautica di lusso. La situazione internazionale poi è tornata ad essere tesa, come stiamo vedendo”.
Quali sono le cause di questo fenomeno?
“Sul mercato dei superyacht, nuovi e usati, quasi tutto il vendibile è stato venduto ed è venuta a crearsi una carenza di offerta di barche. Molti cantieri, specie quelli più vicini al navale che lavorano su scafi in metallo, hanno cercato di riconvertire una parte di questi lavoratori impiegandoli nella nautica. Ora siamo nella situazione in cui si sono più barche che equipaggi, quindi nel nostro settore arrivano lavoratori poco preparati”.
E gli armatori?
“Nella nautica ultimamente se ne sono affacciati molti nuovi, magari poco competenti ma con grandi disponibilità, i quali a volte comprano barche di qualità non eccelsa e vi impiegano equipaggi altrettanto modesti. Questa situazione ha comunque un impatto su un tema importante come quello della sicurezza in mare, a causa della scarsa manutenzione e cura delle barche, cosi come la poca esperienza o la negligenza di questi lavoratori”.
E’ un fenomeno destinato a durare?
“Difficile dirlo, io ovviamente non biasimo chi si accontenta, diciamo così, e si trova a lavorare su barche e con armatori di questo tipo ma è chiaro che alla prima occasione lascerà quel posto”.
C’è molta differenza tra comandanti italiani e stranieri?
“I nostri comandanti sono sempre molto richiesti da armatori che cercano la qualità, per fortuna. La nostra reputazione sul mercato è ottima, non solo dal punto di vista delle capacità professionali ma anche di tutte quelle caratteristiche umane che in genere contribuiscono a rendere più gradevole una vacanza a un armatore, perché di questo parliamo alla fine. Gli armatori passano sempre più tempo a bordo, ora spesso anche per lavoro, e noi dobbiamo cercare di farglielo trascorrere in modo sereno e conservando quell’intimità che cercano”.
Facciamo due conti in tasca agli armatori, quanto costa una stagione per uno superyacht?
“Il budget naturalmente varia molto a seconda dello stile di vita, del tempo trascorso in navigazione, ecc. ma diciamo che per un quaranta metri potrebbero essere necessari sui 700/800 mila euro all’anno, compresi gli stipendi dell’equipaggio”.
Parliamo di formazione degli equipaggi, come è la nostra?
“Su questi aspetti credo che dovremmo trarre spunto da quello che fanno gli inglesi, che con i corsi MCA hanno creato un sistema valido che potremmo tranquillamente copiare. Con quel percorso anche cadetti o ragazzi appena diplomati che fanno i primi imbarchi, magari brevi o stagionali, possono poi dare i singoli esami anno dopo anno, e si trovano a 25 o 26 anni con in tasca già tutti i titoli da ufficiali”.
Cosa manca ai nostri ragazzi?
“Sicuramente la conoscenza dell’inglese, rispetto alla quale siamo mediamente più indietro rispetto anche a marinai filippini o indonesiani”.
Fare il comandante in Italia è più difficile?
“Per certi versi sì; si pensi al rapporto con le Capitanerie che è spesso problematico, sembra che ogni porto sia un feudo. Qualche anno fa, di ritorno da una crociera in Grecia, facemmo una banale pratica di arrivo/partenza presso l’autorità marittima di un porto in Calabria. Tutto normale lì per lì ma ricordo che all’arrivo della barca a Genova la capitaneria era in tale disaccordo con la gestione della pratica da parte dei loro colleghi calabresi che quasi li volevano denunciare!”.
Tecnologicamente quali sono le soluzioni che vanno per la maggiore?
“Dai cantieri arrivano continue proposte di novità di vario tipo. Si tratta soprattutto di elettronica, ma c’è una forte attenzione anche sulle nuove vernici, per esempio, e sui sistemi di propulsione ibridi. In più ho registrato un forte incremento dell’utilizzo delle tecnologie a ultrasuoni in funzione anti fouling, già ampiamente usate negli allevamenti ittici e nelle piattaforme petrolifere”.
Quali sono i maggiori cambiamenti che ha osservato nei suoi quindici anni da comandante?
“A dire la verità riguardano il clima, e dovremmo tutti preoccuparci. E’ soprattutto l’intensità dei fenomeni ad essersi acutizzata, sempre piu spesso si verificano fenomeni di vento intenso e violento anche nel periodo della bella stagione, cosi come le mareggiate. Sono segnali che fanno riflettere”.
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